Intercettazioni Rai-Mediaset: un caso montato ad arte

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Intercettazioni Rai-Mediaset: un caso montato ad arte

22 Novembre 2007

Non accenna a calare la tempesta sulla Rai. Solo dieci giorni fa il reintegro da parte del Tar del Lazio del consigliere Angelo Maria Petroni defenestrato dal ministro dell’Economia Padoa Schioppa per fare posto a Fabiano Fabiani.

Stavolta però a innescare una nuova crisi sono le intercettazioni, o meglio da conversazioni di dirigenti Rai e Mediaset, pubblicate da La Repubblica e che configurerebbero l’esistenza di una rete per veicolare e controllare le notizie tra le due sponde televisive. Regista di questa operazione sarebbe Silvio Berlusconi che attraverso la sua ex collaboratrice Deborah Bergamini ed i dirigenti del Biscione avrebbe controllato le notizie di politica nel periodo 2004-2005. Questa la tesi del giornale fondato da Eugenio Scalfari e di tutto il centrosinistra, che non ha mancato di cogliere l’occasione per affondare il colpo contro il Cavaliere. Dando però uno sguardo più obiettivo si trae una diversa valutazione dell’intera vicenda.

La questione aziendale sarebbe semplicemente lo sfondo di una storia che risulta prettamente politica e legata agli eventi che in questi giorni stanno accadendo. Impossibile non vedere un collegamento tra la scelta di Berlusconi di aprire al dialogo e questa vicenda che qualcuno come il direttore di Repubblica Ezio Mauro già soprannomina come “struttura Delta”.

A confermare questa impressione il reale valore di queste intercettazioni. Conversazioni provenienti da brogliacci della Guarda di Finanza e che fanno riferimento ad una vicenda che con i personaggi intercettati non ha nulla a che vedere: il fallimento della società Hdc-Datamedia, quella dell’ex sondaggista del Cavaliere Luigi Crespi. Un fallimento su cui è stata aperta un’indagine da parte della magistratura. Nel corso delle indagini, quindi, sarebbero state fatte le intercettazioni in questione. Conversazioni che però, all’epoca non furono considerate penalmente rilevanti. A tal punto che non sono state mai state acquisite dall’autorità giudiziaria. E invece di essere distrutte, come vorrebbe la legge, sono giunte fino ai giornali.

Rispunta il solito problema di non riuscire a controllare e tutelare la privacy e l’utilizzo troppo spesso a comando delle conversazioni private. E non casualmente ieri il ministro della Giustizia Mastella piuttosto che attaccare Berlusconi ha ricordato che al Senato giace ancora il ddl sulle intercettazioni. Una gestione lunga quasi un anno e mezzo e che non sembra ancora vedere la luce. Ma quello che fa riflettere non è solo il fatto che intercettazioni non penalmente rilevanti siano state date in pasto all’opinione pubblica, come tra l’altro il presidente Napoletano ha spiegato facendo riferimento al segreto istruttorio. Piuttosto quello che fa pensare è appunto la tempestività con cui queste sono state pubblicate rispetto all’evoluzione del quadro politico.

Una sincronia che fa pensare all’esistenza di una regia occulta o quanto meno ad una strategia che va ben oltre la mera vicenda di informazioni scambiate tra due emittenti televisive. La scelta di Silvo Berlusconi di aprire al dialogo con il leader del Pd, Walter Veltroni. L’incontro tra i due e le prospettive di riforma della legge elettorale in senso proporzionale con l’arrivo ad un solido bipartitismo. Un quadro molto complesso a cui si lega anche quello dell’Azienda di viale Mazzini, dove la sentenza del Tar ha affondato la manovra del centrosinistra (che con la nomina di Fabiani voleva occupare la Rai). Alzare un polverone come quello delle intercettazioni può di fatto mettere la sordina alle polemiche del dopo Tar e preconizzare anche altri scenari quali quello delle dimissioni di alcuni consigliere del CdA Rai. Da qui la porta aperta anche a un’ipotesi che da tempo circola tra due palazzi: Brazzà, sede del ministero delle Comunicazioni, e Chigi. Nominare un commissario straordinario fino al varo del ddl Gentiloni. Il modo migliore per finire l’opera di lottizzazione e spartizione ormai in atto da qualche mese a viale Mazzini. Ma è evidente che il gioco non si esaurisce alla Rai e va ben oltre con l’intento di sparigliare la situazione politica e rimettere in discussione il dialogo Veltroni-Cavaliere.

Proprio il capogruppo di Forza Italia al Senato Renato Schifani ieri rifletteva sul fatto che tutta questa storia “sembra un grande polverone venuto fuori alla vigilia del tentativo di dialogo tra maggioranza e opposizione”. Anche perché, continua il capogruppo azzurro “questo conferma quanto sia difficile dialogare con chi considera il suo avversario politico un nemico da abbattere”.

E se è vero, come dice il detto, che a pensar male si commette peccato ma alla fine si azzecca, ci sta la reazione del centrosinistra che ha immediatamente rispolverato due armi che dall’inizio della Legislatura tiene puntate contro il Cavaliere: il ddl Gentiloni e quello sul conflitto di interessi. Niente di più efficace per impedire che si possa aprire una fase di dialogo serio nel Paese. Mentre Romano Prodi, da Palazzo Chigi, guarda con attenzione quello che accade. Non è un mistero che lui sia il primo contrario ad un’apertura del dialogo tra Veltroni e Berlusconi. Il timore è grande e risponde all’ipotesi che possibili intese vengano fatte sulla sua testa. Adesso bisogna capire come evolverà la situazione e quali conseguenze queste intercettazioni potranno avere sul panorama politico. Ma una cosa è già molto chiara: il centrosinistra non vuole assolutamente mollare Palazzo Chigi ed il settimo piano di viale Mazzini. A tutti i costi.