“Intercettazioni, se le critiche dei finiani sono a prescindere lo dicano subito”
02 Giugno 2010
Se i finiani dicono "il presepe non mi piace" per ragioni estranee al merito delle questioni, allora è il caso che lo dicano subito. Così Alfredo Mantovano (ex An) sottosegretario all’Interno, nel giorno in cui Silvio Berlusconi chiama a Palazzo Grazioli i vertici del Pdl per fare il punto su intercettazioni e nuovi distinguo dei finiani (ddl e manovra economica).
Il premier opta per la linea della fermezza: ogni decisione sarà assunta dagli organi di partito competenti, così come stabilito nell’ultima direzione nazionale. Per questo martedì mattina prima della seduta d’Aula a Palazzo Madama per le votazioni sul provvedimento, è convocato l’ufficio di presidenza del Pdl. Un segnale chiaro a Fini. Della serie: sarà quello il momento per capire chi vuole stare nel partito.
Certo, il Cav. garantisce che sul testo ci sarà un ulteriore approfondimento per arrivare alla più ampia condivisione (come auspicato dal Quirinale) anche se l’impianto del provvedimento non va stravolto, ma poi sarà la maggioranza del partito a decidere. Sulla stessa lunghezza d’onda l’analisi di Mantovano che si estende agli altri temi nel mirino delle polemiche. Non solo finiane.
Sottosegretario Mantovano, come giudica il tanto contestato ddl sulle intercettazioni?
Senza scendere nel dettaglio, a me sembra la riedizione del dibattito che un decennio fa animò il Parlamento sulla questione dei pentiti. Anche allora vi era chi riteneva che la razionalizzazione del sistema che aveva conosciuto tantissimi abusi, fosse una sorta di impedimento all’azione dei magistrati, di chiusura, di ostacolo alle indagini. In realtà, era il tentativo di dire che il pentito è uno strumento, non lo strumento. I fatti nei dieci anni successivi hanno dato ragione a questa tesi.
Cioè?
I collaboratori di giustizia continuano ad esserci e però tanti eccessi che c’erano stati in passato, specie nella gestione extraprocessuale (remunerazioni, reinserimenti) sono stati ridimensionati senza che venisse meno l’utilizzo processuale delle loro dichiarazioni. Quindi, sul ddl in discussione al Senago, forse sarebbe il caso di mettere da parte i toni apocalittici, nel senso che non sta finendo il mondo, perlomeno quello delle indagini. Si sta introducendo qualche regola in più che, in questo caso, punta a far sì che le intercettazioni non siano lo strumento dominante delle indagini, ma un importante strumento, insieme a tanti altri.
Tuttavia il dibattito e le polemiche sono incentrate di fatto su due testi, quello approvato alla Camera e quello modificato al Senato.
Si tratta di un argomento delicato per ragioni di carattere strettamente giudiziario, per mille questioni che ruotano attorno all’utilizzo delle intercettazioni e per l’uso anche strumentale di carattere politico che delle intercettazioni fatte in modo più o meno ampio, si è manifestato. È inevitabile, quindi, che in presenza di tutti questi interessi in gioco ci sia una dialettica dentro il Parlamento e tra i due rami del Parlamento. Credo però che sia intenzione di tutti arrivare a una sintesi e penso che gioverà anche alle indagini. Da questo punto di vista, un tema poco approfondito è quanto l’uso amplissimo delle intercettazioni abbia prodotto risultati negativi sulle indagini.
Quali? Li spieghi lei.
Senza generalizzare, si è tuttavia insinuata una buona dose di pigrizia per cui si getta questa rete ampia pensando che poi tanto qualcosa nella rete resta impigliato e che alla fine si farà la cernita dei pesci buoni e degli scarponi rimasti nella rete.
Le cosiddette intercettazioni a "strascico"?
Esattamente. Un modo di agire ben diverso da quello che, invece, razionalizzava tempi, energie e presupponeva anche una certa dose di fantasia, di creatività. Della tendenza a una certa pigrizia, vi è un riscontro non solo sul fronte dell’attività investigativa e del lavoro dei pm, ma anche sul fronte dei provvedimenti da parte dei giudici e in particolare dei gip: sono infatti frequenti le ordinanze di custodia cautelare che riportano pari pari, con un gioco di ‘copia e incolla’ le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche senza che queste siano state riassunte, valutate, autonomamente considerate e selezionate per la parte che serve ai fini della decisione. C’è, in sostanza, un’estensione della pigrizia dal magistrato inquirente a quello giudicante. Una razionalizzazione dello strumento potrebbe indurre a un impegno maggiore, concentrato su altri strumenti altrettanto efficaci. Se si confida solo su uno strumento di indagine, si corrono grossi rischi. A me è capitato quando facevo il giudice.
Ci racconti.
Mi è capitato di leggere verbali su verbali di intercettazioni, ma se poi veniva il dubbio o il dubbio era sollevato da un avvocato difensore su un passaggio in particolare e non ci si accontentava della trascrizione ma si ascoltava quella telefonata, magari si scopriva che il tono della stessa frase aveva un significato diverso da quello che emergeva dal testo scritto. Questo dovrebbe indurre non solo a cautela sull’uso dello strumento ma a non confidare in modo tendenzialmente esclusivo su di esso. Paradossalmente, regole più stringenti possono giovare alle indagini, non danneggiarle.
Non la pensa così buona parte della magistratura.
Intanto non sono tutti i magistrati e poi in più di una voce di dissenso leggo riflessi condizionati non sempre fondati sulla lettura dei testi.
Faccia un esempio.
Tutti gli allarmi sulle indagini di mafia o sul terrorismo sono privi di fondamento perché regole più stringenti non riguardano quel tipo di indagini. Molti dicono che si parte da un reato ordinario e poi si scopre una pista mafiosa o terrorista ma su questo occorre fare attenzione perché con la stessa logica anche i controlli ferroviari, come peraltro e drammaticamente è già successo, o i controlli stradali possono far emergere spunti per indagini su mafia e terrorismo, eppure non si fanno intercettazioni per capire se una persona guida senza patente.
Sul testo in discussione al Senato c’è stata o no una retromarcia da parte di governo e maggioranza?
Io vedo una ordinaria dialettica parlamentare, pur in presenza di toni abbastanza forti in certi casi, data la delicatezza della materia. Ma anche qui, non stiamo attraversando la valle di Josafat per l’ultima volta; è una animata discussione parlamentare.
Sì ma i nodi politici sono tutti nella maggioranza coi finiani che contestano alcuni punti del ddl e lo stesso presidente della Camera ha di fatto smontato il testo del Senato.
Io proverei a mettere fianco a fianco gli argomenti e a esaminarli confrontandoli con il testo e questo è il lavoro che verrà fatto nelle aule di Camera e Senato. Il Parlamento ha passato e passa ordinariamente al vaglio provvedimenti di estrema delicatezza, in questo caso si stanno sovrapponendo delle riflessioni anche di carattere terzo rispetto al merito, ma se accadesse così per la manovra di Tremonti non ci sarebbe neanche da iniziare a discuterla. Non voglio banalizzare ma dico: trattiamo le tematiche di merito, senza tragicizzarle ed enfatizzarle.
Sì’ ma qui l’aspetto politico prevale su quello tecnico.
La discussione si fa nelle sedi competenti che sono le commissioni parlamentari e l’Aula. In una commissione parlamentare abbastanza tecnica come la Giustizia, si ha modo ad esempio di riflettere sul fatto che le norme sulle intercettazioni sono norme di procedura penale e le norme procedurali ordinariamente sono subito operative e quindi valgono dal momento in cui vengono approvate per i processi in corso. Ed è chiaro che se un’indagine è già stata avviata con le vecchie norme ci vuole una norma transitoria: mi sembra più una discussioone tecnica che politica. Tiriamo una linea di confine tra l’aspetto tecnico e quello politico, anche se solo un ingenuo può ritenere che non ci siano connessioni sui due piani.
E quindi cosa propone?
Affrontiamo la discussione sul piano tecnico e a ciascuno di questi temi sarà ragionevole dare una risposta, ma non usiamo il piano tecnico per dire "il presepe non mi piace", perché se non piace per ragioni estranee al merito, allora è il caso di dirlo subito.
Magistrati sul piede di guerra non solo sulle intercettazioni ma anche contro la manovra economica, con l’ipotesi di uno sciopero. Che ne pensa?
Finalmente l’Anm rispetta la sua natura e cioè quella di associazione sostanzialmente sindacale che pensa alla remunerazione dei magistrati. Auspico che in un quadro in cui tutti siamo chiamati a fare sacrifici, specie se le remunerazioni sono abbondantemente superiori alla media, si abbia una considerazione per i giovani magistrati, perché chi inizia a fare questo lavoro normalmente lo fa fuori sede e va incontro a spese superiori rispetto a un collega che ha ottenuto il trasferimento a casa. Forse in questo caso, prima di mettere tutti sullo stesso piano, occorrerebbe una riflessione in più.
Messaggio per Tremonti?
Probabilmente una riflessione sul punto non guasterebbe. Non sono certamente queste le esigenze dei presidenti di sezione della Corte di Cassazione.
Ma c’è anche chi in tempi di vacche magre, invece di protestare e basta, cerca di attrezzarsi al meglio. Ad esempio il procuratrore di Bari, Laudati propone una sorta di autofinanziamento della giustizia penale attraverso le risorse provenienti dal sequesto dei beni alla criminalità organizzata. Cosa ne pensa?
La vedo come un’espressione di saggezza, un modo per fare di necessità virtù. Ma non è solo un tentativo di sopravvivenza, ha anche una logica virtuosa, nel senso che se il buon lavoro di uno o più uffici giudiziari di un determinato territorio che nel pieno rispetto delle regole ottiene risultati importanti sul piano dell’acquisizione patrimoniale, sarebbe bene che avesso perlomeno una parziale ricaduta positiva anche per le esigenze di quegli uffici giudiziari. Quindi è il contrario di "chiagni e futte" per dirla con un detto popolare.
Restando in tema, l’Agenzia nazionale per la confisca dei beni alla mafia è un’assoluta novità introdotta dal ministero dell’Interno. E’ possibile tracciare già un primo bilancio?
L’Agenzia è operativa da poco e la sede a Reggio Calabria è stata inaugurata a metà marzo. Per fare un bilancio provvisorio aspetteri la fine dell’anno. In questo momento è in corso un grosso lavoro organizzativo e di merito rispetto a questioni che vengono sottoposte al nuovo ufficio. E’ una locomotiva in corsa, aspettiamo che si arrivi a qualche stazione. Quali sono le funzioni specifiche?
In tutta la fase del procedimento prima della confisca ha una funzione di sostegno importante all’autorità giudiziaria e agli amministratori laddove occorre un supporto per affrontare problemi che non si riesce a risolvere in ambito territoriale, come io stesso ho avuto modo di costatare.
Di che si tratta?
Un anno fa mi capitò di occuparmi di una catena di supermercati sequestrati a Cosa Nostra nel Trapanese. Me ne sono occupato insieme al prefetto di Trapani perché il problema andava oltre l’ambito territoriale dal momento che le banche dopo il sequestro avevano difficoltà su affidamenti riconosciuti senza incertezze pirma del sequestro, lo stesso valeva per i grandi fornitori. Dunque, serviva un intervento dal livello centrale per ricondurre tutti alla ragionevolezza. Ora, attraverso l’Agenzia questo lavoro verrà messo a regime. Poi c’è tutto ciò che attiene alla destinazione dei beni dopo la confisca con un iter che abbatterà i tempi biblici che ci sono stati finora.
Le stragi di mafia del ’93. Come valuta le analisi di Veltroni e Ciampi?
Forse sono troppo condizionato dal lavoro che facevo prima, ma per parlare di reati in generale e soprattutto di reati così gravi a distanza di tanti anni, credo bisognerebbe andare oltre la mera formulazione di ipotesi e finora, invece, siamo a un gradino addirittura antecedente la formulazione di ipotesi. Ha poco senso il commento sulla pre-ipotesi.
Il clima di veleni e sospetti alimentato da ipotesi e congetture può essere un modo per destabilizzare il quadro politico attuale?
Ho letto l’editoriale di Giuliano Ferrara e lo condivido dalla prima all’ultima parola. Nel senso che se fosse vero il dieci per cento di ciò che in recenti interviste è stato fatto adombrare, dovremmo dimmetterci tutti, non solo il premier ma chiunque faccia parte di questo governo guidato da uno "stragista mafioso". Però nessuno finora ha fatto il nome nè è andato oltre la premessa dell’ipotesi per cui resta quello che un tempo veniva prima dell’ipotesi, ovvero l’illazione. Non so se questo è un termine irriverente nei confronti delle cariche ricoperte da chi ha fatto determinate dichiarazioni, ma sulla base delle illazioni i governi vanno lasciati in pace.