Interim, Fini, inchieste e dossier Sicilia: le quattro spine nel fianco del Cav.

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Interim, Fini, inchieste e dossier Sicilia: le quattro spine nel fianco del Cav.

13 Maggio 2010

Le spine nel fianco di Silvio Berlusconi sono quattro. Tutte pericolose. Per alcuni in grado di ferire il Governo, per altri solo punture di spillo. La casella di Scajola da riempire con un nome di fiducia sul piano politico e di spessore su quello professionale che metta d’accordo mondo produttivo e ministero dell’Economia è la prima "spina", cui si aggiunge il rapporto con Fini, che resta infuocato dopo lo strappo in direzione nazionale e nonostante il lavorìo dei pontieri; poi il fronte delle inchieste che toccano alcuni uomini tra i fedelissimi del premier con il sospetto (sempre incombente) di un nuovo assedio giudiziario lanciato da alcune procure. Infine, il caso Sicilia da risolvere prima che la polveriera isolana possa esplodere e avere ripercussioni nazionali.

Quattro problemi in cerca di soluzione. Da trovare in poco tempo perché  la posta in gioco, da qualsiasi parte la si guardi, è la stabilità del governo e dunque le sorti della legislatura. Il Cav. lo sa bene anche se in questi giorni, nonostante gli incontri a raffica coi big del partito e alcuni ministri a Palazzo Grazioli, sembra orientato a temporeggiare. Una tattica per capire fino in fondo come stanno le cose e decidere la direzione migliore lungo la quale muoversi, senza il rischio di “effetti collaterali” che potrebbero rallentare la road map già tracciata per i prossimi tre anni: le riforme. Su questo il premier si gioca la faccia e la maggioranza il consenso, anche in chiave 2013.  

Il nodo dell’interim allo Sviluppo economico. I tempi della successione si allungano, nonostante Berlusconi avesse assicurato che la questione sarebbe stata risolta nel giro di alcuni giorni. Ma le tante variabili che ruotano attorno a questa casella sono gli elementi sui quali il Cav. sta ragionando, mettendo in conto che per sciogliere il nodo servirà altro tempo, forse ancora qualche settimana.

L’uomo giusto al posto giusto. Detta così può suonare come un rebus facile da risolvere ma la questione si intreccia con meccanismi difficili da gestire. Da quel dicastero e dall’autorevolezza di chi lo andrà a guidare, dipendono le sorti di una delle partite più importanti del futuro: il nucleare. Berlusconi in questi mesi (e nell’ultimo anno) ha spinto sull’acceleratore, sempre accompagnato, in ogni sua dichiarazione pubblica, proprio dal ministro Scajola. Ha stretto importantissimi accordi fuori dai confini italiani portando la nuova strategia energetica nazionale all’attenzione dei francesi, dei russi e degli americani che già starebbero fremendo per un eventuale rallentamento.

In realtà, la riduzione di velocità c’è già stata: a parte i privati (che procedono a ritmo sostenuto), il dossier nucleare è fermo. Manca, soprattutto, la nomina dei vertici dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, fondamentale per far partire la nuova stagione energetica. Nomina che con l’uscita di scena di Scajola ha finito per intrecciarsi proprio con la partita della successione, dal momento che il nome del senatore Guido Possa – le cui quotazioni sono salite negli ultimi giorni – è stato avanzato per entrambe le cariche: prima per quella dell’Agenzia, dove è in lizza con Maurizio Cumo (il vero favorito), poi per quella del dicastero di via Veneto.

Lo stesso ministero a cui guarda il viceministro allo Sviluppo Economico Paolo Romani, fedelissimo del premier, ma che non troverebbe l’accordo di parte del mondo associativo economico (Confindustria in testa) e perfino, secondo indiscrezioni, di Giulio Tremonti. Le perplessità si concentrano sul fatto che Romani nin avrebbe le competenze adeguate per fronteggiare partite del calibro di quella nucleare, è il ragionamento di alcuni esponenti della maggioranza. Nella rosa dei "papabili" da alcuni giorni è entrata anche Luisa Todini, imprenditrice e berlusconiana doc, ma non si esclude neppure l’ipotesi di un ticket Romani-Possa alla guida del dicastero di via Veneto. Ovviamente le pressioni, interne ed esterne alla maggioranza, si concentrano tutte su Berlusconi, (ieri ha confermato le deleghe ai viceministri Romani e Urso) il quale – si fa osservare nel Pdl – da un lato, sa bene l’importanza della decisione che dovrà assumere rispetto a una casella strategica della sua "squadra"; dall’altro vuole capire se ci saranno nuove ondate giudiziarie.

La "tregua" armata con Fini. Il rapporto tra i due è ai minimi storici e nel Pdl sono in molti a ritenere che più delle inchieste o dei sospetti sulla manovra di accerchiamento che alcune procure potrebbero far ripartire contro il Cav., ma puntando ai suoi uomini, il vero nodo per il destino della legislatura stia proprio nella rottura di quel patto che ha sancito la nascita del Pdl, dopo lo scontro in direzione nazionale.

Sono passate più di due settimane da quel redde rationem, ma le posizioni si sono come cristallizzate, nonostante il lavorìò dei pontieri da giorni impegnati a tessere una rete di contatti finalizzati a creare le condizioni per un faccia a faccia tra il Cav. e il presidente della Camera propedeutico a un accordo politico che consenta di arrivare senza ulteriori strappi (specie in Parlamento) al termine naturale della legislatura.

Un lavoro di mediazione che vede impegnati su più fronti singoli parlamentari ex Fi ed ex An  (come i finiani moderati Augello e Moffa) ma anche lo stato maggiore del partito con in testa il coordinatore Denis Verdini che ha ricevuto un mandato preciso e che ieri avrebbe dovuto incontrare il presidente della Camera. Ma l’incontro è saltato con tanto di polemica annessa; il che la dice lunga sul livello di tensione dentro il Pdl. Dopo un vertice a Palazzo Grazioli in cui Verdini ha ricevuto da Bondi e La Russa il "mandato esplorativo", ieri è stato proprio Fini a far sapere che nella sua agenda non c’era alcuna riunione con il coordinatore del Pdl.

E il tentativo di disgelo si è arrestato sul nascere, col paradosso che diventa l’ennesimo motivo di scontro tra l’inquilino di Palazzo Chigi e quello di Montecitorio. Quest’ultimo non avrebbe gradito affatto la "velina" fatta trapelare il giorno prima da via dell’Umiltà in base alla quale a chiedere l’incontro col Cav. (che nella stessa giornata gli ha offerto un ramoscello d’Ulivo) sarebbe stato proprio lui, tantomeno il fatto di doversi confrontare con "gli intermediari".

I finiani danno man forte a questa tesi (anche perché il sospetto è che la "velina" sia stata messa in circolazione dagli aenne ormai lontani dal loro ex leader di partito e poco propensi a un riavvicinamento)  e per tutto il giorno sulle agenzie di stampa rimbalzano dichiarazioni di segno opposto tra i supporter dell’uno e dell’altro. Fini dice che a chiedere l’incontro con lui sono stati quelli del Pdl e mette i suoi paletti, sottolineando che senza quelle ”risposte politiche” che lui si attende dal premier sul filone legalità-lotta alla corruzione e sui costi reali del federalismo fiscale non ci sono le condizioni per la ripresa del dialogo.

Tra i berlusconiani si parla di un premier molto irritato dall’atteggiamento di Fini e che ancora martedì non era per nulla convinto della necessità dell’operazione-pontieri, nonostante le sollecitazioni delle "colombe" del Pdl. E dopo l’uscita di Fini, da Palazzo Grazioli sarebbe arrivato un commento caustico, della serie: seppure scettico, quello che dovevo fare l’ho fatto e questo è stato il risultato. Un modo per dire che di chiarirsi col presidente della Camera non ha alcuna intenzione. Almeno per il momento, almeno fino a quando non ci saranno i presupposti per trovare un punto di equilibrio. E il primo presupposto per ristabilire un minimo contatto, sono le scuse di Fini per lo strappo in direzione nazionale.

Insomma, un rimpallo di responsabilità che non lascia presagire nulla di buono. Come, osservano alcuni deputati Pdl, confermano il plauso di Fini all’appello della comunità di Sant’Egidio per l’introduzione dello jus soli per i bambini nati in Italia nel dossier sulla cittadinanza o il bigliettino passato a Walter Veltroni in cui il presidente della Camera avrebbe scritto: ”Fare pace? Fare finta!”. Frase che qualcuno ricollega proprio ai suoi rapporti con il Cav.

Le inchieste e i sospetti su un nuova stagione di veleni. E’ la questione che da giorni domina le prime pagine dei quotidiani e infiamma il dibattito politico tra maggioranza e opposizione. Dopo il caso Scajola, a finire nel mirino di alcuni pm è stato il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini e ieri l’inchiesta sugli appalti ha lambito il dicastero di Altero Matteoli, coinvolgendo uno dei massimi dirigenti, Incalza, già collaboratore dell’ex ministro Lunardi.

A questo si aggiunge il filone d’indagine sul G8 e i nuovi sviluppi di cui da giorni il Corsera sta dando conto, che chiamano in causa il ruolo di Guido Bertolaso, uno degli uomini di punta del Cav. a Palazzo Chigi. E come accaduto alcuni mesi fa, i gossip di Palazzo sono tornati a ventilare perfino il nome di Gianni Letta tra i big destinati a finire nel tritacarne mediatico, ma si parla anche di altri esponenti del governo.

La sensazione diffusa negli ambienti della maggioranza è che si riaffacci una nuova ondata giudiziaria che stavolta, si tradurrebbe in una manovra di accerchiamento colpendo gli uomini più vicini al premier. Congetture che rimbalzano nei commenti in Transatlantico e danno il senso del clima che si respira nel centrodestra. Come la lettura più ricorrente a Montecitorio in base alla quale se nel mirino dei pm dovessero entrare altri esponenti del governo – i rumors parlando di due ex An – , questo protrebbe determinare un passaggio di alcuni deputati d’area verso la pattuglia finiana. Ipotesi, scenari per alcuni, per altri pura fantapolitica.

Il dossier Sicilia.Berlusconi intende risolvere una delle questioni più controverse che da mesi alimentano continue tensioni nel partito siciliano diviso tra la componente dei "ribelli" che fa capo a Gianfranco Miccichè e i cosiddetti "lealisti" più vicini alle posizioni di Schifani e Alfano.

Un dossier che il Cav. ha aperto ieri ricevendo a Palazzo Grazioli tutti i protagonisti della contesa siciliana. Incontro interlocutorio al quale ne seguiranno altri, per fare il punto della situazione e indirizzare sul giusto binario l’avvio di una mediazione che possa portare a una ricomposizione tra le parti. La parola d’ordine che il premier ha ripetuto è ‘basta con le polemiche e le divisioni’, anche per non alimentare ripercussioni a livello nazionale.

Una questione, oltretutto, finita al centro dello scontro tra il Cav. e Fini nell’acceso botta e risposta durante la direzione nazionale del Pdl. L’invito a deporre le armi ha avuto i primi effetti. Miccichè ha deciso di ”rinviare ogni iniziativa politica” sul Partito del Sud e di ”assumersi la responsabilità della riunificazione” del Pdl in Sicilia. Posizione apprezzata dai "lealisti" che nelle fila pidielline viene letta come il primo passo per arrivare alla soluzione di un problema che finora, malgrado i numerosi tentativi, nessuno è stato in grado di risolvere. Un nodo politico che il Cav. intende sciogliere prima possibile. Senza perdere altro tempo.