Invece delle primarie
29 Novembre 2012
Fa bene il Pdl a rinunciare alle primarie. Fa bene perché, in Italia, le primarie sono di sinistra. Presuppongono attivismo, assembramenti, esaltazioni e isterismo. Aspetti propri dei girotondini e militanti rosso arancio, ma estranei al popolo di centro destra. Fare le primarie, dunque, vorrebbe dire un inutile e svantaggioso confronto preelettorale. Non più del pleonastico esercizio di stile – marketing politico? – venuto fuori ieri sera dal faccia a faccia tra Bersani e Renzi, candidati alla leadership di sinistra.
Un confronto inconcludente, deludente, che non ha colmato il vuoto di una prospettiva risolutiva dei problemi del Paese. Perciò, il Pdl fa bene ad accantonare definitivamente l’idea delle primarie. Piuttosto, ritrovi forza, coraggio e fiducia in sé per tornare a parlare al suo popolo, che è poi la maggioranza degli italiani. Una maggioranza spaesata, scoraggiata, addirittura angosciata. Ma una maggioranza che non si è dileguata e che attende una proposta credibile di governo per tornare a sperare e, dunque, a votare. Ecco che cosa chiede e che cosa aspetta, oggi, la maggioranza degli italiani: una proposta di governo, non un uomo di governo.
In Italia le primarie sono di sinistra: appariscenti e inconcludenti. Sono una farsa, prendendo in giro i cittadini con l’illusione di scegliere qualcosa o qualcuno. Le primarie, in Italia, sono la stadera delle correnti di partito e, peggio, la misura delle potenze dei rappresentanti di una politica-partitica in coma per il morbo del clientelismo territoriale.
A sinistra le ha vinte Renzi; ma domenica, ai voti, trionferà Bersani. Come Giorgia Meloni pure noi abbiamo fatto qualche giro tra i capanni elettorali, domenica scorsa. In realtà territoriali molto più modeste, ma non per questo meno influenti per l’esito elettorale (si legga: divario risultati tra Sud e Centro Nord), la sensazione è stata quella di un voto squisitamente di “preferenza ispirata”, cioè sospinta da diverso fine. Non è questo ciò che serve oggi all’Italia. Non è ciò che chiedono gli italiani, rifugiatisi nel “non voto” o nel “voto di protesta” in rifiuto alla politica spettacolarizzata e deresponsabilizzata con tecnici e professori al governo. Per l’Italiano del “non voto” e del “voto di protesta” le primarie sono una carnevalata di striscioni e slogan, inutile a risolvere i problemi di un tasso di disoccupazione alle stelle, della numerosità di imprese che abbassano le serrande oppure che gli viene arrestata giudiziariamente la produzione negli stabilimenti, di un Pil che sprofonda, delle nuove tasse in arrivo per un Ssn, come ha detto l’attuale capo del governo, a rischio sostenibilità.
Il Pdl (ri)parta da queste semplici osservazioni: si rimbocchi le maniche e, piuttosto che imitare la sinistra inseguendola in un inutile tentativo di sgretolargli il granitico corpo elettorato, miri invece a riconquistarsi la fiducia di chi oggi si è rifugiato nel “non voto” e nel “voto di protesta”. L’Italiano che vota per la sinistra non deciderà mai di votare per il centrodestra. Perché la sua scelta elettorale non è “dare un voto” ma “fare un voto”: è un atto di fede! Chi vota per la sinistra, cioè, non lo fa a conclusione di una consapevole valutazione di un programma di governo: lo fa per mettere in pace la coscienza. Perché, per lui, la sinistra è il “bene”, il centro-destra il “male”. Più libero e sanamente egocentrico, l’Italiano che vota per il centro destra decide il voto sulla base delle prospettive offerte di governo.
E’ pragmatico, concreto, realista. Anche idealista, ma quanto basta per sapere che differenza c’è tra liberalismo, liberismo, comunismo e bolscevismo. E’ attratto più dal programma, che dagli evanescenti atti di fede eterna ai princìpi costituzionali. Ma non è disposto per alcuna ragione a rinunciare ai suoi superiori princìpi etico-morali. Odia la burocrazia, ama uno stato leggero. Desidera un Fisco giusto, detesta il Redditest. L’Italiano che vota per il centrodestra non può votare per questa sinistra e, a maggior ragione, per il minestrone venuto fuori dalla primarie tra Vendola, Bersani e Renzi, annacquato dalla Puppato e da Tabacci.
Il Pdl è a un bivio: seguire la sinistra in un’avventura delle primarie che contribuiranno solamente a lacerare il partito; oppure riconquistarsi il ruolo attivo in un Paese che si trova improvvisamente arretrato di 20 anni. Con la seconda opzione il Pdl può interrompere il consumarsi di questa tragedia greca sull’antipolitica tra comici e carismatici oratori alla ribalta. E’ finito il tempo delle ‘comparse’ sulla scena politica e parlamentare; adesso servono attori veri. Un buon regista c’è, manca soltanto il copione: una proposta credibile di governo per riportare gli italiani a sperare e, dunque, a votare. Questo lo si può scrivere insieme, abbandonando il palcoscenico delle primarie e tornando a parlare agli italiani.