Investire sull’ambiente non paga e i lavoratori lo sanno

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Investire sull’ambiente non paga e i lavoratori lo sanno

10 Dicembre 2008

Durante questa settimana, le Nazioni Unite si sono riunite a Poznan, in Polonia, per negoziare il successore del Protocollo di Kyoto; la vera notizia però è che parte del “consenso” sul cambiamento climatico sembra essersi disperso. In altre parole, il mito dei “lavori verdi”.

Circa 11.000 operai metalmeccanici hanno bloccato la scorsa settimana la sede dell’Ue a Bruxelles per protestare contro le politiche adottate per frenare il riscaldamento globale. Questi lavoratori sono preoccupati che la loro industria possa essere colpita e che i loro posti di lavoro siano trasferiti forzatamente all’estero a causa delle nuove politiche ambientali; alcuni di loro portavano persino delle bare come complementi per far scena. La maggior parte degli operai venivano dalla Germania, dove i fabbricanti di automobili continuano a infuriarsi per i nuovi standard di emissioni. L’Audi e la BMW, così come altre industrie che utilizzano il carbonio, sostengono che siano necessari sia tagli minori alle emissioni, sia la determinazione di un periodo più lungo per un adattamento graduale alle politiche ambientali.

Nel frattempo, la Polonia sta minacciando di mettere il veto al nuovo accordo europeo sul cambiamento climatico a meno che le restrizioni nell’uso di carbone siano più agevoli. E il governo italiano si è lamentato che le nuove politiche verdi costeranno alla sua industria fino a 20 miliardi di euro per anno durante il prossimo decennio. Anche il governatore della California Arnold Schwarzenegger ha partecipato all’incontro di Poznan con un video, affermando che le misure verdi “faranno rianimare anche le nostre economie”.

Ma non tutti si bevono questa storia. Così come ha fatto notare il ministro dell’Ambiente italiano Stefania Prestigiacomo: “alcune persone sostengono che le misure ambientali sono uno strumento per rilanciare l’industria, ma noi dobbiamo essere realisti. Le risorse sono limitate, e lo saranno ancora di più a causa della crisi economica”.

Questa è sicuramente una nuova visione per gli europei, specialmente se si considera che, per più di un decennio, hanno fatto la predica agli americani sulla necessità di firmare il Protocollo di Kyoto perché il pianeta è in pericolo. Ma la spensierata discussione sulla riduzione indolore del 20% delle emissioni entro il 2020 è stata presa d’assalto dalla realtà. I regolamenti sulle emissioni di carbonio costano care, specialmente in termini di perdite di posti lavoro e di competitività.

Quindi non c’è da stupirsi se ora gli europei sono deliziati dalle promesse della neo amministrazione di Obama e dei democratici del Congresso sull’adozione di una legislazione simile che mira a tassare le industrie americane. I membri dell’Ue possono anche differenziarsi nelle loro proprie limitazioni. Ma sono tutti d’accordo sul fatto che gli Stati Uniti dovrebbero “dimostrare la loro leadership” prendendo l’impegno di porsi lo stesso obiettivo che gli europei stanno stabilendo per loro stessi, e cioè la riduzione delle emissioni dal 20% al 30% entro il 2020, al di sotto dei livelli del 1990. Non importa se la maggioranza dei paesi europei non sono neanche minimamente vicini al raggiungimento dei traguardi di Kyoto, né che con tutta probabilità non riusciranno a raggiungere nessuno dei nuovi obiettivi. L’unica questione importante è di imporre gli stessi oneri agli yankee.  

La Cina e l’India, due dei maggiori paesi per emissioni di carbonio, hanno persino detto che gli obiettivi di Obama per combattere il cambiamento climatico sono “inadeguati” e hanno consigliato agli Stati Uniti di accelerare il loro programma di riduzione del carbonio. E perché no? Tanto loro sarebbero i primi ad assorbire i posti di lavoro e le linee di produzione che gli Usa perderebbero se in America i costi dell’energia aumentassero bruscamente. 

Speriamo che il team economico in arrivo di Obama abbia prestato la dovuta attenzione alla dura reazione in Europa dei lavoratori e del settore industriale. Obama sta ancora abbracciando la linea di Greenpeace e del "Fondo per la Difesa Ambientale" per cui i permessi negoziabili di emissione di CO2 possono generare cinque milioni di “lavori verdi”. Se tu tiri in faccia a qualcosa sufficienti sussidi d’imposta poi sei obbligato a dare qualche nuovo posto di lavoro. Ma se i soldi per questi sussidi provengono da maggiori imposte sull’energia – e il regime dei permessi negoziabili di emissione di CO2 ammonterebbe a 1.200 miliardi di dollari per le nuove tasse – anche milioni di posti di lavoro dell’industria che utilizza il carbonio andranno persi.

Un tempo anche gli europei avevano creduto nel mito dei “lavoratori verdi”. Adesso che le tute blu protestano nelle strade, però, hanno imparato che la legislazione sul cambiamento climatico significa anche disoccupazione verde.

Tratto da The Wall Street Journal

Traduzione Fabrizia B. Maggi