Io, lei e un tetto di stelle
17 Agosto 2008
Stasera abbiamo deciso di andare a una sagra, ad Alà dei sardi, se ho capito bene. Pare che qui in Sardegna siano famosi per le sagre e almeno una la dobbiamo fare.
Partiamo presto ché le strade qui non sono il massimo. Mentre andiamo resto scioccato dalla bellezza della natura: è la prima volta che mi addentro nell’entroterra sardo, e cavoli, è incredibile. È un paesaggio completamente nuovo, non associabile a niente. È brullo, come il sud, eppure verde come il centro. Ma la cosa più tipica sono le rocce, non ne avevo mai viste di questo tipo: con le forme stondate e i colori grigio chiaro. Assurde.
Passiamo dentro alcuni paesi deliziosi, uno dei quali si chiama Padru, e Giovanni comincia a parlare del padre in sardo, chiamandolo padru.
Ridiamo parlando un po’ tutti in dialetto isolano, finché il paesaggio non ci rapisce di nuovo.
Io ripenso a quello che ho letto stamattina su internet, cioé ai “primi frutti dell’impiego delle forze armate in città”, dichiarato da Maroni alla conferenza stampa al Viminale al termine della riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Dal 4 agosto, data in cui è diventato operativo il piano di impiego, sono state arrestate 37 persone, di cui 33 extracomunitari. Tutto questo in dieci giorni. Tra sei mesi, ha aggiunto Maroni, sarà fatto un bilancio sull’impiego dei militari nelle principali città italiane ed eventualmente sarà prorogato di altri sei mesi l’utilizzo dei militari come prevede il decreto.
Io in città non c’ero questi giorni, quindi non so come sia girare con dei militari accanto ventiquattrore su ventiquattro. Però devo dire che l’idea non mi piace per niente. Forse le città saranno più sicure, ma c’è qualcosa di inquietante.
Arrivati ad Alà dei sardi parcheggiamo, e subito l’aria di festa ci rapisce: molta gente che cammina si dirige verso il centro con la faccia curiosa. Ci accodiamo. Man mano che ci avviciniamo i rumori e gli odori da festa aumentano, e con loro il nostro umore: ormai comunichiamo solo in sardo, e io, Giovanni e Gigi continuiamo a citare gli sketch di Aldo Giovanni e Giacomo quando facevano i tifosi del Cagliari a Mai dire gol: “Ajò nònno!” ripetiamo contiuamente.
La sagra si svolge nel centro storico del paese, ci dicono, nel rione di Mesu Iddha. La scenografia è imponente e affascinante, con palazzotti in granito, austeri e severi nelle forme e nei colori.
Ci sono molti stand, e la regola è sempre la stessa: paghi 5 euro alla cassa e ti danno un foglietto, ti metti in fila e hai diritto a una bistecca di maiale e un bicchiere di vino. Se vuoi solo la bistecca sono quattro euro, solo vino due.
Il maiale è buonissimo, il vino un po’ meno.
Ne prendiamo comunque diversi bicchieri, e dopo un po’ siamo tutti ubriachi, soprattutto Mara, che continua a gridare: “Ajò ragazzi!” mettendoci in serio imbarazzo visto che sembra vogliamo prendere in giro i sardi.
Ci vergognamo di lei, ma in realtà non vogliamo che smetta perché è un vero spasso, quindi le diciamo solo di parlare piano e questo la fa ridere ancora di più. Facciamo un giro per il paese che è davvero carino: ci sono vicoli e stradine segrete molto riservate e antiche nelle quali perdersi e poi ritrovarsi per caso. Quando torniamo al centro è cominciato un concerto.
È curioso, ci sono molti strumenti tipici con dei signori di una certa età che li suonano. Anche il pubblico è abbastanza avanzato negli anni, ed è divertente guardare le loro facce attente rivolte verso il palco: sono impassibili, non un sorriso, non una voce, solo gli applausi a fine canzone. Anche il complesso non dice niente tra un pezzo e l’altro, ringrazia soltanto, sempre nello stesso modo, dicendo esclusivamente: “Grazie”.
Mi viene sete e vado a chiedere dell’acqua a uno stand, quando mi sembra di intravedere tra la folla Renata, la ragazza con la fossetta. Subito mi lancio verso di lei, ma altrettanto subito la perdo di vista. Raggiungo il punto esatto in cui si trovava ma non c’è più.
Mi guardo intorno con desiderio. Comincio a muovermi a caso: vado in mezzo alla gente, esco e la cerco nei vicoli, finché, ormai rassegnato, non la vedo nel posto più improbabile: una terrazza belvedere alla fine di una via isolata.
È sola.
Mi avvicino felice, ma inquieto. Lei non si gira.
“Ciao!” le dico.
“Ciao” risponde, sempre senza girarsi.
“Tutto bene?”.
Non mi risponde.
Aspetto un po’, ma dopo qualche minuto me ne vado dispiaciuto.
Quando mi allontano finalmente lei mi chiama.
Mi giro contento e la raggiungo.
Lei non sembra contenta però. “Ti senti bene?” le chiedo. Sorride e fa cenno di sì. “Bene!” dico, anche se non mi sembra abbia detto la verità. Improvvisamente però mi bacia. Poi mi prende per mano e mi conduce sapientemente fino ad arrivare su un tetto dal quale si vede tutto il paese.
Restiamo lì tutta la notte, e parliamo di tutto e di più. Avevo ragione, non stava tanto bene.
Era buio pesto, e le stelle sembravano un altro tetto. Eravamo tra due tetti.