Io, trattato come un prigioniero di Guantanamo
20 Marzo 2007
“Mi sono sentito, mi hanno fatto sentire, come un prigioniero di Guantanamo”, queste le parole di Daniele Mastrogiacomo dopo il suo rilascio di ieri pomeriggio. Quindici giorni di prigionia, l’uccisione di fronte ai suoi occhi dell’autista, incatenato giorno e notte, divorato dagli insetti, trascinato da una prigione all’altra per quindici volte. Nessuna di queste esperienze ha mai, neanche per un attimo, fatto pensare all’inviato di Repubblica di esser trattato diversamente da un detenuto nella prigione americana di Guantanamo. Una dichiarazione a dir poco controversa la sua, che però s’intona bene con una vicenda altrettanto ricca di paradossi.
La liberazione dell’inviato è costata il rilascio di cinque talebani: Ustad Yasir, capo di una corrente culturale (che già ha dichiarato che tornerà a combattere); il mufti Latifullah Hakimi, ex portavoce dei talebani; Mansoor Ahmad, fratello del capo dei sequestratori, Dadullah; due comandanti, Hamdullah and Abdul Ghaffar. Un fatto questo che potrebbe avere ripercussioni sulla nostra politica estera, come ha giustamente rilevato Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore nazionale di Forza Italia. Sarà infatti opportuno avviare una riflessione su queste scelte e sulla linea della politica estera da tenere in futuro. Poiché anche se si è trattato di una “misura straordinaria”, la scarcerazione dei cinque guerriglieri è costata molto cara al governo afgano, che, nonostante le critiche, ha acconsentito alle richieste.
Alla scelta “straordinaria” del governo italiano non fa eco certo la linea della Cancelliera Angela Merkel, che non ha alcuna intenzione di cedere al ricatto dei rapitori quando chiedono il ritiro delle truppe tedesche dall’Afghanistan in cambio dei due ostaggi – madre e figlio – tenuti ancora prigionieri. “Deve essere chiaro – ha spiegato la Merkel – che il governo tedesco non è ricattabile”. Appare chiaro quindi che la Germania non richiamerà il proprio contingente di pace in Afghanistan, poiché solo una posizione ferma può essere un “giusto segnale” per chi si è impegnato in questa missione. Il Presidente afgano Karzai appoggia pienamente la posizione tedesca, e afferma che “la minaccia non è costituita dai talebani, poiché il problema è la debolezza dei governi”. Una dichiarazione rivolta quindi anche al Governo italiano che, cedendo alle richieste dei terroristi, potrebbe aver aperto una falla nella credibilità del paese.
Anche la posizione di Emergency è poco chiara, poiché dopo il ruolo centrale nella mediazione per la liberazione di Mastrogiacomo, questa mattina all’alba i servizi segreti afgani hanno arrestato Rahmatullah Hanafi, il fidato collaboratore di Strada ed “emissario” del governo per le trattative. L’ambasciatore italiano in Afghanistan Ettore Sequi ha spiegato che si tratta di procedure normali dopo un evento del genere, e che nei prossimi giorni potrebbe essere sentito lo stesso Mastrogiacomo. Per tutta risposta, a polemizzare con lo stesso Karzai è Gino Strada, che ha sostenuto: “il governo afgano non ci è stato di grande aiuto, i servizi segreti ci hanno messo dieci ore per consegnare ai nostri di Lashkargah i due prigionieri talebani che erano già nelle loro mani, lì in città, a cinquecento metri dall’ospedale”.
Tuttavia le modalità con cui è avvenuto il prelievo del capo del personale di Emergency sono piuttosto insolite. Anche in virtù del centinaio di persone che si è riunito di fronte all’ospedale protestando per chiedere informazioni sugli altri due ostaggi rapiti insieme al giornalista italiano, l’autista ucciso venerdì scorso, Sayed Agha, e l’interprete liberato ma non consegnato ad Emergency, Ajmal Naskhbandi. Addirittura sono stati intonati cori di morte nei confronti di Rahmatullah, e gli stessi contestatoti hanno minacciato di non lasciar andare via Mastrogiacomo dall’ospedale finché non siano fornite sufficienti spiegazioni.