Iran, Ahmadinejad libera i prigionieri ma nega di commemorare le vittime

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Iran, Ahmadinejad libera i prigionieri ma nega di commemorare le vittime

28 Luglio 2009

Come sempre cercare di capire che succede nella cupola dei mullah iraniani è particolarmente insidioso. Ieri il presidente e la suprema guida della Rivoluzione hanno, nell’ordine, chiesto che siano rilasciati i manifestanti dell’Onda Verde ancora in carcere (Ahmadinejad) e chiusa la prigione di Kahrizak dove sarebbero stati violati i diritti umani (Khamenei).

Questo ramoscello avvelenato, agitato davanti agli occhi di Mousavi e a quelli sgranati della comunità internazionale, può essere interpretato in due modi.

Il primo. Ahmadinejad si sta rendendo conto di aver esagerato, che la Rivoluzione islamica stava per fallire, che la pressione americana sulla Siria potrebbe far venire meno un preziosissimo alleato, e che Israele gli sta con il fiato sul collo. Liberare i prigionieri, chiudere le galere, rimpastare il governo strizzando l’occhio a qualche esponente (o parenti di esponenti) della fronda conservatrice, potrebbero essere altrettanti segni di debolezza del regime.

Il secondo scenario. Ahmadinejad non rimpiange affatto le repressioni delle ultime settimane, tanto è vero che ieri è stata vietata una commemorazione delle vittime. 30 morti, quelli ufficiali. Più gli 200 tra militanti dell’opposizione, politici avversari, leader studenteschi e non meglio specificati “stranieri”,  ancora rinchiusi dietro le sbarre, un segno tangibile che il regime ha vinto la battaglia nelle strade e  ha solo bisogno di rifarsi un po’ il trucco. Il presidente ne esce rafforzato (Khamenei un po’ meno). All’Iran non interessa l’isolamento internazionale ma solo realizzare il suo sogno nucleare.

Quale dei due scenari è preferibile? Un regime indebolito e destabilizzato potrebbe rivelarsi molto pericoloso. Non sempre la debolezza è buona consigliera. Se la liberazione dei detenuti indica che a il governo dovrà fare i conti con un’opposizione ancora viva e capace di trascinarsi dietro la comunità internazionale, il tutto potrebbe concludersi con un’accelerazione del programma nucleare, magari in attesa del primo colpo israeliano che farebbe scattare la guerra. Non è detto che la debolezza ti spinga per forza a trattare o a scendere a tratti. Può anche spingerti a reagire, a dare un’altra stretta.

Un regime che ha ripreso il controllo della situazione, in alternativa, non rappresenterebbe una novità rispetto a quello che è accaduto in Iran negli ultimi decenni. E forse sarebbe disposto ad accettare l’offerta di Obama di sedersi alle Nazioni Unite, il prossimo settembre. Questo sì che sarebbe uno scenario davvero pericoloso.