Iran, alla “Green Revolution” è rimasta solo tanta rabbia
13 Giugno 2010
Venerdì, vigilia del primo anniversario della rielezione di Ahmadinejad, la tensione in Iran era alle stelle: l’Onda Verde sarebbe tornata in piazza? Da un lato gli studenti annunciavano nuove manifestazioni per il sabato, sfidando il divieto imposto dal Ministero dell’Interno; dall’altro i leader dell’opposizione, Mehdi Karroubi e Mir-Hossein Mousavi, invitavano alla calma, cancellando la manifestazione del pomeriggio per evitare nuovi spargimenti di sangue: “Quello che vogliamo – ha detto Karroubi – sono libere elezioni, libera stampa e rispetto dei diritti del popolo”, obiettivi da raggiungere il più possibile pacificamente. Nel dubbio, comunque, le forze di sicurezze si sono preparate con presidi antisommossa in tutta Teheran, in particolare attorno all’Università e in viale Kargar, dove il 20 giugno dello scorso anno è stata uccisa Neda. Quello che è successo poi, complice il solito blackout informativo imposto dal regime, è più difficile da ricostruire.
Le uniche fonti, ancora una volta, sono le testimonianze riportate da blog, social network e siti internet vicini all’Onda Verde. Un video, registrato venerdì notte, mostra alcuni studenti sui tetti delle case mentre gridano “Allah è grande”, in segno di libertà. Sabato, a dispetto degli appelli di Karroubi e Moussavi, centinaia di giovani sono scesi nelle strade di Teheran e altre grandi città del paese: testimoni parlano di scontri in via Enqelab, luogo simbolo delle manifestazioni di un anno fa, nelle piazze centrali della capitale e intorno all’Università, dove – secondo il sito Persian2English, che ha seguito le proteste minuto per minuto – avrebbero fatto irruzione i basiji, scontrandosi con gli studenti. Che sabato qualcosa sia successo, comunque, lo ha confermato ieri il capo della polizia di Teheran: dopo aver negato scontri tra polizia e contestatori, l’ufficiale ha parlato di 91 arresti tra i manifestanti nella sola capitale iraniana.
Su un fatto, tutti sembrano d’accordo: l’Onda Verde ha perso parte della forza propulsiva che, giusto dodici mesi fa, aveva spinto in piazza milioni di persone in tutto il paese, issando cartelli che chiedevano esplicitamente “Where is my vote?”. E mentre il presidente Obama, in una nota, ricorda oggi le elezioni del 2009 “per come il governo iraniano soffocò brutalmente il dissenso e uccise innocenti, tra cui una giovane donna lasciata morire in mezzo alla strada”, la stampa mondiale si interroga sul presente – e il futuro – della Green Revolution, che tanta speranza aveva suscitato. Secondo il New York Times, sotto la cenere di questi giorni cova ancora il fuco della rivolta, pronta a riesplodere magari in forme diverse – “Le grandi manifestazioni sono finite, ma resta la rabbia” -, mentre Foreign Policy si spinge a rivedere il ruolo di Twitter: “Non è che gli utenti di Twitter non abbiano avuto un ruolo negli eventi dell’anno passato”, è solo che le azioni concrete hanno contato molto di più.
Cosa resta, allora, dei giorni gloriosi di un anno fa? Sul “Sole 24 Ore”, Alberto Negri la mette così: “Il regime si è rafforzato: i Pasdaran controllano le industrie strategiche e circa 800 imprese. Il Bazar, decisivo nel 1979 per abbattere lo Shah, sostiene il governo perché è determinante per il mondo del business. Il clero, nonostante eminenti religiosi siano contrari sia a Khamenei che ad Ahmadinejad, non ha mobilitato la piazza”. Paradossalmente, poi, le recenti frizioni tra Ahmadinejad e il Consiglio di Sicurezza dell’Onu hanno permesso al regime di sviare l’attenzione dal fronte interno: definendo le nuove sanzioni contro l’Iran “un foglio senza valore che non avrà nessun effetto”, e ricordando come “il regime sionista sia destinato a finire”, il presidente ha rilanciato la palla nel campo a lui più congeniale. Ed ecco perché Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace, ha invitato l’Occidente a “cessare di focalizzare la sua attenzione sul nucleare”, denunciando piuttosto “le violazioni dei diritti dell’Uomo e della democrazia”. Magari prima che il regime riunisca una società divisa nel nome del nazionalismo e dell’antiamericanismo.