Iran, il Pentagono dà la sveglia ma alla Casa Bianca continuano a non sentire

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Iran, il Pentagono dà la sveglia ma alla Casa Bianca continuano a non sentire

24 Aprile 2010

La questione iraniana continua ad agitare i sonni dell’amministrazione americana. Secondo quanto riporta il New York Times, infatti, il Segretario alla Difesa Robert Gates ha inviato nei mesi scorsi al Consigliere per la sicurezza nazionale Gen. James L. Jones, un memorandum di tre pagine in cui esprime forti perplessità sulla mancanza di una strategia di lungo periodo volta ad affrontare i progressi dell’Iran verso una piena capacità nucleare. Una “wake-up call” che Gates ha voluto lanciare al Presidente Obama, nella quale esprime “preoccupazione per l’assenza di un strategia efficace” in particolare nel caso in cui l’Iran decidesse di raggiungere la capacità di costruire una bomba atomica(attraverso la produzione del carburante, la dotazione dei disegni tecnici, dei detonatori, ecc.), senza però assemblare tutti i pezzi. In questo caso, rileva Gates, l’Iran rimarrebbe all’interno del Trattato di Non Proliferazione, ma diventerebbe di fatto uno stato nucleare “virtuale”. In altre parole potrebbe in qualunque momento decidere di assemblare la bomba senza incorrere, fino ad allora, in alcuna sanzione.

Sabato scorso, durante il programma “Meet the Press”, in onda su NBC News, il Segretario alla Difesa ha dichiarato: “Se la loro politica fosse quella di andare avanti senza però assemblare l’arma nucleare, come potremmo effettivamente sapere che non l’hanno costruita? Come potremmo verificarlo?”. La domanda è naturalmente retorica, la risposta non può che essere una sola: nessuno potrebbe verificare se gli iraniani hanno effettivamente costruito la bomba oppure no. E intanto il programma nucleare di Teheran va avanti, “lentamente” rileva Gates, ma va avanti, nonostante Obama e la sua mano tesa. Le offerte di Washington sono state tutte respinte, e il dialogo, se mai iniziato, è già finito. Nemmeno quello che il Presidente Obama aveva creduto fosse un asso nella manica, cioè la rivelazione dell’esistenza di un impianto segreto per l’arricchimento dell’uranio vicino alla città di Qom all’interno di un’installazione militare, è servito a convincere i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a votare nuove sanzioni contro l’Iran.

E sebbene l’amministrazione americana dichiari di aver fatto passi avanti con Cina e Russia, l’ipotesi di nuove sanzioni resta ancora molto lontana. Ad aggravare la situazione vi è anche la considerazione che il memorandum di Gates è stato scritto alla fine del 2009, poco prima della scadenza del penultimatum di Obama ad Ahmadinejad, e che da allora, come prevedibile, non è successo nulla, non vi è stato alcun concreto passo in avanti. I mesi successivi sono stati spesi in inutili trattative per convincere il governo di Teheran ad inviare in Russia il proprio uranio arricchito al 3% per riprenderlo dalla Francia arricchito fino al 20  e impiegarlo in un centro di medicina nucleare di Teheran. Un accordo mai raggiunto, nonostante siano state accettate praticamente tutte le condizioni poste dall’inviato iraniano.

Di fronte a questa situazione, l’amministrazione Obama sembra essere spiazzata, confusa, impreparata, quasi vittima del proprio ottimismo e delle propri illusioni. La posizione ufficiale, in base alla quale “tutte le opzioni restano sul tappeto”, incluso l’uso della forza, sembra non convincere nessuno, tanto meno il Pentagono. D’altra parte lo stesso Capo di Stato Maggiore, l’Ammiraglio Mike Mullen, ha più volte “frenato” in pubblico su tale eventualità, come recentemente alla Columbia University, dove ha dichiarato che “se l’Iran ottenesse la bomba potrebbe destabilizzare l’intera area, ma lo stesso effetto lo avrebbe un attacco contro Teheran”. Dunque, tolta dal tavolo l’opzione militare, e fallita la via diplomatica, rimarrebbe solo la possibilità del regime change. Ma anche questa opzione sembra non sia mai stata neppure considerata da Obama, che ha lasciato l’opposizione interna, l’Onda Verde, infrangersi contro la repressione del regime, un regime sempre più in mano alle frange khomeiniste più dure come quella delle Islamic Revolutionary Guards Corps (IRGC) di cui Ahmadinejad è espressione.

Negli ultimi mesi, i guardiani della rivoluzione hanno accresciuto ulteriormente il proprio potere e la propria presa sulle istituzioni di Teheran, sfuggendo ormai al controllo della stessa guida suprema, Ali Khamenei. Come riportato da Ali Alfoneh, Resident Fellow all’American Enterprise Institute, lo scorso febbraio il Segretario di Stato americano Hillary Clinton, intervenendo allo U.S.-Islamic World Forum che si teneva in Qatar, ha posto l’accento sulla crescente forza delle IRGC: “E’ evidente che il governo dell’Iran, la Guida Suprema, il Presidente ed il Parlamento sono ormai stati esautorati e che l’Iran si sta muovendo verso una dittatura militare”. La domanda che dovrebbe porsi il Segretario di Stato americano è cosa stiano facendo gli Stati Uniti e l’amministrazione Obama per aiutare il popolo iraniano. Ma soprattutto qual è la strategia americana di fronte a questa situazione? Evidentemente se l’è chiesto anche il Segretario Gates, e la risposta è che l’America è “confusa”. Peccato che per ora sembri essere l’unico dell’amministrazione Obama ad averlo capito.