Iran nucleare? Meglio un attacco preventivo israeliano
08 Maggio 2010
di John Bolton
Le trattative avanzano inesorabilmente verso una quarta risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU che sancisca nuove sanzioni contro il programma nucleare dell’Iran, proprio mentre il Presidente Mahmoud Ahmadinejad arriva a New York per affrontare la conferenza sulla revisione del Trattato di Non-Proliferazione. I sostenitori delle sanzioni riconoscono che comunque anche quest’ultima mossa da parte del Consiglio di Sicurezza servirà solo marginalmente ad ostacolare i progressi dell’Iran.
In Congresso, la legislazione sulle sanzioni è piuttosto debole, ma anche questa volta si sta agendo semplicemente in modo automatico. La Russia e la Cina hanno già rifiutato proposte chiave per restringere l’accesso dell’Iran ai mercati finanziari internazionali e per scoraggiare le sue importazioni di prodotti petroliferi finiti, che scarseggiano all’interno del paese. Qualsiasi nuova legge americana verrà ignorata o aggirata, assumendo così un valore meramente simbolico. D’altro canto, il presidente Obama si è opposto anche all’approvazione di una nuova legge, sostenendo che un’azione unilaterale da parte degli Stati Uniti potrebbe vanificare i suoi sforzi nel Consiglio di Sicurezza.
Continuare a richiedere sanzioni equivale a non fare nulla. Sostenere questo genere di politica serve solamente ad avvantaggiare l’Iran, fornendogli una copertura per proseguire la sua strada verso l’obiettivo nucleare. Si tratta di creare la confortante illusione di “fare qualcosa”. Proprio come la “diplomazia” all’inizio ha concesso all’Iran il tempo e la legittimità di cui aveva bisogno, ora le trattative sulle sanzioni fanno esattamente lo stesso.
Anche tutte le discussioni riguardo alla possibilità che un regime change riesca a bloccare in tempo il programma nucleare iraniano rappresentano una perdita di tempo. Il pugno di ferro della Rivoluzione Islamica, e la volontà di utilizzarla contro i dissidenti (che al momento sono in confusione), significa che non possiamo sapere se e quando il regime cadrà. Gli sforzi a lungo termine per un regime change, per quanto possano essere auspicabili, non serviranno a evitare in tempo che l’Iran riesca a creare armi nucleari, con il rischio conseguente di un’ulteriore proliferazione regionale.
Dobbiamo quindi affrontare una dura realtà, poco piacevole. Esistono solo due alternative: l’Iran riuscirà a dotarsi di armi nucleari, o qualcuno utilizzerà un attacco militare preventivo per interrompere il ciclo di combustibile nucleare iraniano e paralizzarne il programma, almeno temporaneamente.
Non c’è possibilità che l’amministrazione Obama decida di utilizzare la forza, nonostante la sua posizione confusa, e in continuo cambiamento, circa l’opzione militare che è sempre rimasta “sul tavolo”. E così si abbandona Israele, che viene implicitamente minacciato dall’amministrazione di non esser rifornito degli aerei e delle armi che andrebbero perduti nel corso di un attacco all’Iran – rendendo in tal modo Israele vulnerabile di fronte a potenziali ritorsioni di Hezbollah e Hamas.
E’ difficile non giungere alla conclusione che l’amministrazione Obama sia rassegnata ad un Iran in possesso di ami nucleari. Sebbene i responsabili delle decisioni politiche statunitensi non accoglieranno con favore un simile risultato, di certo sperano come corollario di riuscire a contenere e dissuadere l’Iran. Dal momento che hanno scartato l’unica alternativa diretta, la forza militare, senza dubbio ora sono occupati nel preparare soluzioni con quello che è rimasto a disposizione.
La probabile strategia di contenimento/deterrenza del presidente Obama presenterà delle garanzie di sicurezza per i paesi vicini e promesse di una reazione americana nel caso in cui l’Iran utilizzi le sue armi nucleari. Purtroppo per questa retorica apparentemente vigorosa, il semplice fatto che l’Iran detenga armi nucleari andrà ad alterare da solo in modo netto e irreparabile gli equilibri di potere nel Medio Oriente. In realtà l’Iran non deve utilizzare le sue capacità per accrescere la sua influenza a livello regionale o mondiale.
Analogie superficiali con la deterrenza della Guerra Fredda si appoggiano alla debole convinzione, senza prove, che il calcolo nucleare dell’Iran si avvicinerà a quello dell’Unione Sovietica. Il regime teocratico iraniano e l’alto valore riconosciuto alla vita nell’aldilà rendono questa supposizione estremamente pericolosa.
Sebbene il contenimento e la deterrenza verso l’Iran potranno rivelarsi di maggior successo rispetto a quanto appena suggerito, la proliferazione nucleare non si ferma con Teheran. L’Arabia Saudita, l’Egitto, la Turchia e forse altri paesi ricercheranno di certo, e molto in fretta, le loro armi nucleari in tutta risposta. Così, ci troveremmo a breve di fronte a un Medio Oriente nucleare multipolare, in attesa soltanto che qualcuno attacchi per primo o fornisca armi ai terroristi. Ironicamente, un attacco del genere potrebbe ben coinvolgere Israele semplicemente come uno spettatore innocente, quanto meno all’inizio.
Dovremmo riconoscere che un utilizzo della forza militare da parte di Israele non sarebbe né precipitoso né sproporzionato, ma solamente un’ultima risorsa di auto-difesa preventiva. I governi arabi comprendono già tale logica, e la condividono in larga misura. Un attacco del genere servirebbe a promuover sia gli interessi di sicurezza israeliani che americani, oltre a quelli degli stati arabi.
Nonostante ciò, la ragione intellettuale per un tale attacco deve essere compresa in anticipo e più a fondo dall’opinione pubblica americana e dal Congresso al fine di assicurare una reazione favorevole da parte di Washington. In assenza di un’azione israeliana, i progetti futuri di ciascuno di noi non dovrebbero basarsi su nient’altro che la necessità di fronteggiare un Iran nucleare.
© The Wall Street Journal
Traduzione Benedetta Mangano