Iran, oggi Mousavi torna in piazza ma scatta la caccia al giornalista

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Iran, oggi Mousavi torna in piazza ma scatta la caccia al giornalista

18 Giugno 2009

Ti accorgi di quanto sia orwelliana la realtà dell’Iran ascoltando la tv di stato che parla dell’ultima manifestazione dell’Onda Verde che si è svolta ieri pomeriggio a Teheran. Oggi ne è prevista un’altra per ricordare le vittime cadute nei giorni scorsi sotto i colpi della polizia. La "Associazione dei religiosi combattenti", cioè il clero riformista iraniano, ne sta organizzando una terza per sabato prossimo, che si concluderà con un discorso di Mousavi e a cui parteciperà anche l’ex presidente Mohammad Khatami.

Ieri, la tv di stato iraniana si è affidata alla laconica voce di una speaker del telegiornale che ha spiegato: “Un gruppo di sostenitori di Mousavi ha sfilato oggi pomeriggio in piazza Haft-e-Tir sollevando fotografie del loro candidato”. C’erano decine di migliaia di persone in piazza a manifestare in silenzio. La polizia e i reparti anti-sommossa hanno preso il controllo dei punti chiave della città. Il procuratore di Isfahan ha minacciato di condannare a morte i dimostranti arrestati nei giorni scorsi, ma Khatami e Mousavi hanno chiesto alle autorità giudiziarie iraniane di rilasciare chi è stato arrestato nei giorni scorsi.

I giocatori della nazionale di calcio iraniana, durante una partita di qualificazione per i mondiali giocata contro la Corea del Sud, sono scesi in campo con polsini e fasce verdi, il colore dell’opposizione guidata da Mousavi. Quest’ultimo ha ripetuto che Ahmadinejad ha vinto grazie ai brogli elettorali ed ha chiamato a raccolta i suoi per onorare i morti: “il popolo iraniano deve tenere marce pacifiche e riunirsi nelle moschee per consolare le famiglie dei martiri e dei feriti”. Intanto i figli dell’ex presidente Rafsanjani sono stati accusati di aver avuto un ruolo diretto nelle manifestazioni degli ultimi giorni, mentre la notte scorsa sono stati arrestati un professore universitario e al direttore di un giornale economico.

Sono anche stati cancellati gli accrediti ai giornalisti stranieri che adesso restano nelle loro stanze d’albergo a guardano quello che succede in tv. Il ministero degli esteri ha diffuso una nota in cui si dice che i reporter stranieri si sono fatti “portavoce di chi fomenta gli scontri”. La stampa e il web continuano ad essere una grande fonte di preoccupazione per il regime. Proprio in queste ore sta rimbalzando da un blog all’altro una lettera – meglio, un documento di cui non è stata provata la autenticità – che sarebbe stata indirizzata il 13 giugno scorso dal ministro dell’interno iraniano alla Guida Suprema Khamenei, in cui si rassicura l’ayatollah che le elezioni sono andate come previsto: Ahmadinejad ha vinto, Mousavi ha perso. Nella parte finale del testo però si leggono i veri risultati del voto. Mousavi avrebbe ottenuto circa 20 milioni di elettori, Ahmadinejad circa 6 milioni. Per i conservatori al potere a Teheran il documento è un falso.

Il  comando cibernetico dei Pasdaran ha fatto sapere tramite l’agenzia stampa Farsi che verranno prese misure legali contro chi fa propaganda su Internet fomentando i disordini: “Questi siti sono finanziati tecnicamente e finanziariamente dagli Usa e dal Canada”. Reporter senza Frontiere è intervenuta per denunciare la “scandalosa situazione” che i giornalisti stanno vivendo a Teheran invitando a una grande manifestazione di protesta prevista per domani davanti all’ambasciata iraniana di Parigi. Intanto Mousavi e i dissidenti continuano a tenersi collegati con il resto del mondo grazie a strumenti come Twitter, in quella che ormai tutti chiamano diplomazia del web.

E Ahmadinejad? Tornato dal suo primo viaggio in Russia, ha rivendicato la vittoria di venerdì scorso: “La causa della rivoluzione ha vinto. 25 milioni di persone hanno approvato il modo in cui abbiamo gestito il Paese. Le ultime elezioni sono un simbolo della fiducia che il popolo ha verso il sistema”. In Italia intanto esce un libro sulla vita del rieletto presidente iraniano scritto dal giornalista Kasra Naji che, dopo la pubblicazione, ha preferito andare a vivere a Londra. Secondo l’autore, sarebbe stato il presidente Ahmadinejad ad inventare lo slogan “Yes We Can”, molto prima di Obama.