Iran, ormai bastano i fischietti dei Basij a sedare la protesta
23 Settembre 2010
Nella notte di lunedì scorso i sostenitori del movimento verde iraniano sono tornati a esprimere il loro dissenso nei confronti del governo di Mahmoud Ahmadinejad: i tetti di Teheran si sono riempiti di persone che intonavano il grido “Allah Akbar” (Dio è grande, ndr). Il principale sito web del movimento Verde ha postato i video che testimoniano la numerosa partecipazione dei cittadini alla notte di protesta. L’obiettivo della manifestazione era di ricordare al mondo intero che il movimento verde è sempre vivo e lotta pacificamente per i diritti dei cittadini iraniani. Questa volta, per fortuna, non si sono registrati scontri tra le forze del regime e i manifestanti: gli strumenti di repressione utilizzati sono stati i fischietti usati dai Basij per coprire il forte grido di dissenso.
Nelle ultime settimane alcuni gruppi armati, tra cui gli stessi Basij e le Guardie Rivoluzionarie, hanno nuovamente preso di mira la leadership del movimento, attaccando sia l’ufficio di Mir Hosseini Mousavi che la casa di Mahdi Karroubi. Sono stati compiuti anche una serie di atti vandalici contro alcune moschee (principalmente quella dell’ayatollah Dastgheib) che sostengono la protesta e affermano la necessità di una riforma del clero iraniano. Uno tra i clerici dissenzienti, l’ayatollah Ali Montazeri,ha recentemente definito le brutalità del regime verso gli iraniani come "né islamiche, né degne di una Repubblica".
Nato dopo le ultime elezioni presidenziali, il movimento verde ha pagato a caro prezzo la sua ribellione, con arresti, torture, limitazioni nella possibilità di comunicare liberamente con il mondo esterno. Ma ieri, parlando alle Nazioni Unite, il presidente iraniano ha negato gli abusi subiti dai dissidenti nelle prigioni iraniane e dalla popolazione civile, in particolar modo le donne.
Nonostante una vasta mobilitazione, il movimento non sembra raggiungere gli obiettivi prefissati: la pratica della tolleranza e della non-violenza non produce infatti i frutti sperati contro gruppi armati disposti a uccidere e a morire per mantenere il controllo del paese. E’ evidente che il movimento abbia intrapreso un approccio più graduale, cercando di ottenere piuttosto obiettivi a lungo termine e rinunciando allo spirito rivoluzionario del post-elezione, considerando anche la debolezza della leadership e la sua incapacità di comunicare chiaramente i propri intenti.
A differenza della Rivoluzione del 1979 in cui l’ayatollah Khomeini era il leader indiscusso e il simbolo della rivolta, oggi personalità come Karroubi e Moussavi non hanno né il carisma né tantomeno quella capacità di unire tutte le classi sociali per rovesciare il governo al potere. In Iran troppe persone hanno ancora interesse a lavorare per il governo, a partire dal ceto medio. Se il movimento volesse avere una nuova spinta dovrebbe provare a coinvolgere commercianti e lavoratori, paralizzando poi il paese con continui scioperi. Fiaccato dalle sanzioni internazionali e dagli scioperi interni, forse Ahmadinejad non avrebbe altra scelta che riconoscere e ascoltare le necessità del popolo iraniano.