Iran, sauditi e passività occidentale
04 Gennaio 2016
L’esecuzione del cinquantenne chierico sciita al-Nimr avvenuta in Arabia Saudita e l’immediata reazione a Teheran (l’ambasciata di Riad incendiata) aprono l’ennesima escalation tra le due potenze del mondo islamico, che per ora si materializza nella rottura delle relazioni diplomatiche. Il ministro degli esteri saudita al-Jubair ieri sera ha dato 48 ore di tempo ai diplomatici di Teheran per fare le valigie, mentre quelli sauditi hanno già lasciato la capitale iraniana, con sosta verso casa a Dubai.
Gli osservatori occidentali, anche quelli più autorevoli, sembrano allinearsi a Hillary Clinton, quando la candidata democratica si scandalizza per le 46 esecuzioni ordinate dai Saud, come se scoprissimo solo oggi la rigida applicazione coranica della legge in auge a Riad. L’esecuzione “rischia di infiammare la Regione”, ha detto la Clinton tirando in ballo l’eterno scontro tra sunniti e sciiti.
Non è chiaro però perché ci si ostini a leggere gli ultimi avvenimenti solo sotto questa specie di lente storica e secolare, una lotta per l’egemonia che pure c’è ed è tra le ragioni basilari della guerra mondiale islamica ma che rischia di essere deformante ingoiando ogni altra spiegazione. Come ha scritto giustamente il reporter di AP, Jon Gambrell, “mentre la spaccatura tra sunna e shia risale agli albori dell’Islam e alle lotte intestine tra i successori del profeta Maometto, le divisioni (attuali, ndr) sono cresciute intrecciandosi con le rispettive politiche regionali seguite dai due Paesi" per diventare lo stato-guida dell’area.
Insomma prima di addentrarsi nelle speculazioni storiche meglio occuparsi della attualità geopolitica. “L’Iran accusa l’Arabia Saudita di sostenere il terrorismo anche perché Riad supporta i gruppi ribelli siriani che combattono contro il suo alleato, cioè il presidente siriano Assad,” prosegue Gambrell, “Riad da parte sua se la prende con il sostegno dato dagli iraniani alle milizie dell’Hezbollah libanese o agli altri gruppi sciiti che combattono nella regione, muovendo la stessa accusa di terrorismo a Teheran. L’Iran sostiene anche i ribelli sciiti Houti nello Yemen”.
Per cui se è vero che si può interpretare l’esecuzione di al-Nimr ordinata dai Saud come un vero e proprio guanto di sfida lanciato contro il rivale iraniano, questa sfida non cade dal pero ma si inserisce e va letta nel contesto dei fatti come si sono sviluppati negli ultimi mesi e settimane. Riad assiste ormai da tempo e sempre più allarmata al flirtare degli Usa e della Ue con l’Iran, il cosiddetto “Iran Deal”, l’accordo sul nucleare iraniano che prevede un alleggerimento delle sanzioni contro Teheran in cambio di limiti al programma di sviluppo nucleare iraniano.
L’Iran si prepara quindi a ricevere una barca di soldi – si pensi solo a quando Teheran potrà inondare di greggio un mercato del petrolio già saturo e destabilizzato – e gli Ayatollah, nell’ordine, sostengono apertamente il terrorismo sciita; hanno ripreso a fare test missilistici in barba alle Nazioni Unite; nei giorni scorsi hanno lanciato addirittura un bel siluro caduto a pochi chilometri di distanza da una portaerei americana nel Golfo. Tutto questo con un governo amico in Iraq, che minaccia anch’esso di espellere i diplomatici sauditi, e mentre Putin fa da cappello protettivo alla Mezzaluna verde iraniana che va da Damasco a Baghdad.
Messa così, e considerando la totale impotenza statunitense ed europea, diventa più comprensibile la stretta impressa all’interno del regno dai Saud (non le esecuzioni, per carità), come pure all’esterno, con la formazione dell’alleanza multinazionale in funzione di contenimento iraniano e contro la ribellione Houti nello Yemen. Come pure resta aperto il fronte pieno di contraddizioni con Isis. Niente è facile da spiegare nel mondo islamico e raccontando lo scontro tra la monarchia wahabita, con le sue diverse anime e inclinazioni, e la teocrazia iraniana, con altrettante fazioni contrapposte, c’è sempre il rischio di sbagliare, ricadendo in questo o quello stereotipo.
Ma un paio di cose possiamo dirle, riprendendo un ragionamento fatto da David French sulla National Review: “I vuoti di potere vanno riempiti, e le cose possono sempre andare peggio. La passività americana si lascia dietro un enorme vuoto di potere nella regione, che sauditi e iraniani hanno fretta di colmare”. “Gli iraniani sono il nostro nemico giurato,” prosegue French, “e i sauditi sono il peggiore dei nostri ‘amici’”, non è facile riuscire a capire con chi schierarsi, certo è che “uno scontro diretto avrebbe conseguenze drammatiche per l’economia globale".
"Il Medio Oriente brucia da tempo nella violenza e nell’instabilità. Questa settimana, il fuoco divampa più del previsto," conclude NRO. Ma se è vero che sul rispetto dei diritti umani fra Teheran e Riad il bue dà del cornuto all’asino, facciamo attenzione a sbrogliare la matassa nel modo giusto, cercando di capire realmente da che parte pende il nostro interesse, con un minimo di ragionevolezza politica.