Iran, vince Rohani. Il mullah moderato che serviva a Khamenei
16 Giugno 2013
Il nuovo presidente dell’Iran, Rohani, è sempre stato un fedele sostenitore dell’ayatollah Khomeini. Non è un riformista, quindi. La sua elezione era quello che serviva al regime iraniano per trovare uno sfogatoio interno al risentimento crescente della popolazione verso la crisi economica ed esterno per uscire dall’isolamento internazionale in cui è caduta l’antica Persia.
In realtà, il vero vincitore di queste presidenziali in Iran è proprio la Guida Suprema, Khamenei, che ha capito in tempo quanto avrebbe potuto valere all’estero vendersi l’immagine di un presidente "moderato" dopo le sparate guerrafondaie del premier Ahmadinejad.
Ma come per gli altri "moderati" che lo hanno preceduto, da Khatami in avanti, Rohani è soltanto una maschera diversa che nasconde il vero volto del regime iraniano, che non cambierà una virgola nel sostegno al regime sanguinario degli Hassad in Siria o nel generoso foraggiamento di gruppi terroristici come l’Hezbollah libanese, o ancora nel proseguimento del programma nucleare iraniano.
I cosiddetti "moderati" in Iran hanno poco e scarso peso in decisioni del genere visto che alla fine l’ultima parola spetta comunque alla Guida Suprema Khamenei. Dunque che dire della elezione di Rohani? Che guiderà una teocrazia di stampo totalitario dove la libertà viene repressa, i diritti umani non vengono rispettati, che minaccia gli altri Paesi nel contesto regionale con il suo programma nucleare, che spaccia propaganda antioccidentale e antisemita ad ogni occasione.
Ma appunto Khamenei ha compreso che continuare sulla strada volgarmente buffonesca di Ahadinejad non sarebbe servito alla causa delle rivoluzione islamica e che l’assassinio di Neda e i Basiji mandati a manganellare i giovani nelle piazze di Teheran hanno peggiorato la reputazione dell’Iran all’estero.
Da qui la spinta verso il "governo di cambiamento" e la retorica sui nuovi "moderati" che né sono nuovi né sono moderati.