Iraq, gli americani se ne vanno e torna lo spettro di Moqtada al Sadr

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Iraq, gli americani se ne vanno e torna lo spettro di Moqtada al Sadr

25 Agosto 2010

Che succederà all’Iraq ora che le truppe americane si preparano a lasciare definitivamente il Paese? Ieri un comunicato dell’esercito Usa ha offerto qualche cifra: in Iraq ormai restano meno di 50.000 uomini, il più basso numero di truppe presenti nel Paese dall’inviasione americana del 2003, dopo il picco di 165.000 uomini raggiunto nel 2007 con il "surge". La scorsa settimana hanno lasciato l’Iraq le ultime unità di combattimento, la 4h Stryker Brigade e la 2nd Infantry Division, mentre restano le "Advise and Assist Brigade" che avranno il compito di continuare ad addestrare le forze della sicurezza irachene, pronte ad entrare in azione se a chiedere il loro supporto fosse il governo di Baghdad, secondo gli accordi stabiliti con Washington.

Dal primo settembre, dunque, diremo addio alla missione Iraqi Freedom che diventerà l’operazione New Dawn. "La questione non è tanto il ritiro delle nostre truppe," ha spiegato il comandante in capo delle truppe Usa in Iraq, il generale Ray Odierno, "ma in che modo continuerà il nostro impegno nel Paese, impegno che non è destinato a concludersi".

Tutti aspettano il discorso che il presidente Obama farà sull’Iraq al ritorno dalle vacanze da Martha’s Vineyard, anche se gli ambienti della sinistra liberal americana e i pacifisti che lo hanno votato non sembrano molto convinti del fatto che in Iraq gli americani ci resteranno comunque almeno fino al 2011. Prima del discorso presidenziale, a parlare è stato il vicepresidente Biden che intervenendo alla convention dei Veterani ha spiegato che gli Usa "non abbandoneranno il Paese, anzi che si preparano a continuare ad aiutare gli iracheni". Ma non è detto che tutto sia destinato a filare liscio.

Attentati a parte (56 morti e 163 feriti in una serie di attacchi che ieri hanno colpito diverse città irachene), sono in molti ad avanzare osservazioni, dubbi e critiche sul ritiro obamiano, e secondo alcuni osservatori americani la guerra in Iraq non è finita, né si può dire che sia stata vinta del tutto. Va affrontato il problema del completamento e dell’allargamento del training delle forze speciali irachene, sempre più autonome, ma che potrebbero ritrovarsi a dover chiedere ancora una volta l’aiuto degli Usa. Restano le tensioni etniche, la questione curda, complesse partite geopolitiche in cui fattori identitari si sovrappongono a tematiche di tipo economico, come il petrolio o lo sviluppo dell’economia.

Sullo sfondo, la figura del chierico sciita Moqtada Al Sadr, finito negli ultimi anni in esilio in Iran e considerato da molti figura di spicco del prossimo Iraq libero dalle truppe americane. Negli ultimi giorni Al Sadr sembra aver polemizzato, e non poco, con i suoi amici iraniani, che vorrebbero dialogare con il premier uscente al Maliki mentre lui, che di Maliki è stato uno sponsor fino a quando non diede via libera agli americani di colpire Sadr City, non ne vuol sentir parlare ed è per questo che ha cercato rifugio in Libano. Il Paese dei cedri esercita un forte fascino sul chierico sciita, il "modello hezbollah", che gli permetterebbe di scavalcare Maliki e l’attuale classe dirigente irachena per proporsi come il nuovo uomo forte del Paese.