Iraq, la nuova strategia conquista anche il New York Times

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Iraq, la nuova strategia conquista anche il New York Times

22 Novembre 2007

Il numero degli attacchi contro i soldati  americani o iracheni è calato notevolmente in Iraq nel corso delle ultime settimane, così come il numero dei morti a causa della violenza settaria. Lo ha annunciato lunedì il comando militare Usa, non senza un pizzico di soddisfazione. Quel che più conta, però,  è che anche il New York Times e il Newsweek (organi di stampa solitamente poco propensi a tessere le lodi dell’amministrazione Bush) hanno riconosciuto queste evoluzioni positive della situazione irachena.

Baghdad la millenaria, quella che ai tempi del Califfo Harun al-Rashid veniva definita “Città della Pace”, sta ricominciando pian piano a vivere. Niente di paragonabile ad una moderna metropoli occidentale, per carità. Ma, rispetto all’esistenza da eterni reclusi alla quale i pochi cittadini rimasti si erano abituati, quella di oggi sembra ricordare almeno da lontano una vita normale. Le famiglie cominciano a ritornare nelle loro vecchie abitazioni, dopo lunghi periodi passati dentro ex-scuole o uffici pubblici adibiti a case di fortuna, e ritrovano le cose come le avevano lasciate, fatta eccezione per qualche foro di proiettile sul forno o sul frigorifero.

D’altronde, anche per chi era abituato a leggere delle quotidiane carneficine irachene seduto sulla sua poltrona, gli ultimi tempi hanno significato una inversione di tendenza: non più centinaia di morti al giorno a causa di attacchi suicidi ma qualche esplosione ogni tanto e numeri di vittime decisamente inferiori, tanto da far spostare l’attenzione dei lettori verso cause più “diplomatiche” come quella dell’Iran o della Birmania.  C’è chi si dice convinto che questo incremento di sicurezza sia dovuto all’aumento di truppe – l’oramai famosa ‘surge’ voluta da Bush – e al nuovo Generale di guerra, Petraeus. È senz’altro vero: tanto che anche il quotidiano “democratico” (nel senso di progressista e quindi ostile all’amministrazione repubblicana in carica) più venduto al mondo, leggasi New York Times , ieri ha pubblicato un articolo che descriveva la nuova situazione, relativamente “pacifica” rispetto a prima.

“Il numero settimanale di attacchi in Iraq è sceso fino a raggiungere i livelli precedenti all’attacco alla moschea di Samarra del febbraio 2006”, scrivono Cara Buckley e Michael R. Gordon con il contributo del loro collega iracheno Qais Mizher, dalla provincia di Diyala. Quell’attacco è considerato alla stregua di uno spartiacque di sangue nella storia degli attacchi contro la popolazione e la polizia. La distruzione dell’altare sciita ha anche rappresentato un simbolo della lotta intestina tra fazioni religiose, strumentalizzata dai capi guerrieri, che ne hanno approfittato per costruirsi eserciti di fedeli e per tentare la scalata al potere per mezzo della distruzione fisica dei contendenti.

La violenza, come dicevamo, stando a quanto dichiarato nel corso della conferenza stampa organizzata dal Comando Militare Usa e tenutasi lunedì a Baghdad, sarebbe diminuita soprattutto grazie all’incremento di truppe voluto da Bush stesso, che ha portato sul suolo iracheno altri trentamila soldati americani, nell’ambito della nuova strategia pensata dal Generale David Petraeus.

Tale incremento avrebbe fatto calare il numero degli attacchi settimanali a 575 contro i circa 700 del periodo dell’attacco alla Moschea D’Oro e i 1600 dello scorso giugno. Nel conteggio sono incluse le autobomba, gli ordigni ad orologeria, le mine, gli attacchi col mortaio, i missili a spalla e quelli terra-aria, oltre alle mitragliette. Come risultato si è avuto un costante declino delle morti tra i civili, alcuni dei quali hanno cominciato anche a fare ritorno alle loro vecchie abitazioni. 

“Su questa strada” rivela al Nyt la signora Aasan mentre si affaccia al balcone di casa sua nel distretto di Dora, “molti dei miei vicini hanno perso i loro cari”. Suo marito Fadhel A. Yassen,  spiega ai cronisti che molti suoi amici sono stati uccisi mentre sedevano sui balconi delle loro abitazioni. La situazione sarà forse più sicura adesso, ma sua moglie intanto se ne torna dentro velocemente.

Nonostante questo miglioramento evidente nella vita di tutti i giorni degli iracheni, Fareed Zakaria sul Newsweek sottolinea come l’Iraq sarà al centro del dibattito riguardante le presidenziali. Il tema della guerra insomma non smette di preoccupare gli americani, indipendentemente dai risultati ottenuti sul campo. Lo stesso Zakaria sottolinea un’altra cosa di non poco conto: “la nuova strategia di Petraeus sta funzionando anche se non esattamente per le ragioni sbandierate all’inizio”. In pratica, Petraeus avrebbe realizzato che “l’unico modo per combattere efficacemente al-Qaeda in Iraq consiste nel farsi alleati tra la comunità sunnita, invece che utilizzare un esercito composto in larga parte da curdi e sciiti”, questo vale almeno per quanto riguarda la turbolenta provincia di al-Anbar, dove gli americani stanno “facendo amicizia con i capi tribù sunniti, anche quelli con un passato non proprio candido”.  Il risultato di queste nuove alleanze? Al-Qaeda in Iraq è stata “marginalizzata” e i leader sunniti non chiedono più a gran voce il ritiro delle truppe americane.

Stesso discorso per il sud sciita del paese. Lì gli Usa, sempre stando a Zakaria, avrebbero “abbandonato l’obbiettivo di un governo imparziale”, scegliendosi invece un alleato nella persona di Abdul Azziz al-Hakim del Consiglio Supremo Islamico dell’Iraq, un gruppo religioso che controlla la gran parte dei governi regionali.  Altra svolta nella politica verso la guerriglia: a Baghdad ora i bersagli preferiti dell’esercito Usa sono i miliziani dell’Esercito del Madhi di Moqtada al-Sadr, anche se i cosiddetti sadristi possono ancora operare indisturbati in certe aree sciite. Il Kurdistan poi, rappresenta una questione a parte, dove gli americani hanno sempre optato per uno stato semi-indipendente.

Quindi la ‘surge’ ha effettivamente sortito gli effetti desiderati, contribuendo ad innalzare il livello di sicurezza generale nelle strade di Baghdad e nel resto della nazione. In America, però, l’opinione pubblica non ha cambiato le sue convinzioni. Inoltre, alcuni analisti (in genere democratici per la verità), tendono ad attribuire gran parte del merito per la nuova situazione al cambio di strategia, piuttosto che a qualche migliaio di soldati in più. Solo che il cambio di strategia è stato deciso dal Generale Petraeus che poi è stato designato dallo stesso George Bush. Non bisogna mai dimenticare che il Comandante in Capo dell’esercito Usa rimane pur sempre il Presidente, nel bene e nel male…