Iraq: tra Usa e Iran la partita è ancora aperta

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Iraq: tra Usa e Iran la partita è ancora aperta

06 Maggio 2008

Il mese di aprile è stato duro per lo sforzo di stabilizzazione dell’Iraq:
52 soldati americani caduti, il numero più alto dallo scorso settembre, e oltre
1.500 morti negli scontri tra forze di sicurezza irachene e miliziani sadristi
scoppiati il 25 marzo a Bassora e ancora in corso in diverse aree del Paese. Il
generale Petraeus l’aveva detto di fronte alle commissioni Forze Armate di
Camera e Senato lo scorso 8 aprile: i progressi ci sono ma sono reversibili. Al
Qaeda deve essere ancora completamente sconfitta – e resta ben radicata in
alcune provincie del Paese, in particolare del nord –, il mondo sciita è in
ebollizione e, soprattutto, le forze di sicurezza irachene devono fare ancora
progressi. Ragion per cui meglio prendersi una pausa di riflessione prima di ritirare
ulteriori truppe dal Paese, attendendo così anche il risultato dell’elezione
del nuovo Presidente. Sulla stessa lunghezza d’onda i britannici. Il ministro
della Difesa, Des Browne, ha confermato che il congelamento del ritiro delle
truppe di Sua Maestà dall’Iraq resterà in vigore nel futuro immediato e che riduzioni
ci saranno soltanto se “le condizioni lo consentiranno”.

Al Qaeda ha subito colpi durissimi grazie al surge e all’attività delle forze irachene. Nella provincia di
Anbar, un tempo loro roccaforte, i qaedisti sono in fuga e anche a Baghdad
l’azione preventiva e di contrasto di Petraeus ha dato ottimi risultati. Problemi
restano però nella parte centro-settentrionale del Paese, nelle provincie di Salah
Ad Din, Diyala e soprattutto Ninive, in particolare nelle vecchie aree di
insediamento di Ansar Al Islam (il movimento fondato da Al Zarqawi). Secondo
dati forniti dal Pentagono, a marzo il livello di violenza nella provincia di
Ninive è cresciuto del 17%. In queste aree, più Baghdad, dove gli attacchi sono
tuttavia scesi del 43%, è concentrato l’86% di episodi di terrorismo o
guerriglia dell’intero Iraq.

Nel resto del Paese attacchi e attentati sono in calo ovunque. Un
contributo importante è venuto dall’azione dei sahwas, i figli dell’Iraq, ovvero i comitati popolari di autodifesa
organizzati e pagati dagli USA per combattere Al Qaeda, formati per la gran
parte da uomini che prima ingrossavano le fila baathiste della guerriglia.
Resta il problema di come legittimare questo corpo paramilitare. Ad oggi, oltre
20.000 appartenenti ai sahwas – che
hanno una forza complessiva di 91.000 unità – sono già stati assorbiti
dall’Esercito o dalle forze di Polizia irachene, ma il generale Patreus, sempre
in occasione della sua audizione congressuale, ha affermato che la loro
trasformazione in una struttura legittima dello Stato richiederà ancora molto
tempo e un attento monitoraggio.

Dove gli americani continuano a navigare a vista è invece sulla
questione sciita. La variabile Sadr è tornata nuovamente ad ingarbugliare
l’equazione irachena. Sadr sta al calendario politico iracheno, come le
occupazioni al calendario scolastico: entrambi irrompono regolarmente sulla
scena. Dopo la lunga pausa seguita al cessate il fuoco proclamato lo scorso
agosto, l’Esercito del Mahdi è tornato a farsi vedere e a riprendere la propria
attività militare su larga scala. Questa volta, però, le milizie di Sadr si
sono trovate davanti un nemico apparentemente inaspettato:  le forze di sicurezza irachene. Il Governo Al
Maliki sembra aver fatto della lotta contro Sadr una questione personale. L’offensiva
scatenata dall’Esercito e dalla Polizia contro le roccaforti sadriste di
Bassora e Sadr City ha visto il coinvolgimento di oltre 20.000 uomini e pare
che sia stata lanciata senza che i comandi americani ne fossero informati. Certo,
gli anglo-americani non hanno fatto mancare l’appoggio dell’Aviazione, ma la
partita questa volta è stata giocata in proprio dagli iracheni. Talmente in proprio,
che è sembrato di assistere più ad una guerra tra bande interna al mondo sciita
che ad un autentico tentativo del governo centrale di ristabilire legge e
ordine a Bassora.

La posta in gioco è la supremazia sul mondo sciita e il
controllo del sud del Paese. Maliki e il suo partito, il Dawa, si vogliono
sbarazzare di un pericoloso avversario interno, Sadr appunto, fortemente
radicato nelle realtà popolari e che rischia di diventare per il sud dell’Iraq
quello che è diventato Hezbollah per il sud del Libano. Per vincere la sua
partita contro Sadr, Maliki, il cui partito non ha un grande seguito ed è
sprovvisto di milizia, ha bisogno del SIIC (Supreme Islamic Iraqi Council), ex SCIRI (Supreme Council for the Islamic
Revolution in Iraq), che ha la milizia più organizzata e meglio armata
dell’Iraq, la Brigata Badr, e un forte radicamento nell’Esercito e,
soprattutto, nella Polizia. Da un lato, quindi, Dawa e SIIC, e in misura minore
gli scissionisti sadristi di Fadhila, dall’altro, Sadr. All’orizzonte le
elezioni amministrative programmate per il prossimo ottobre. Probabilmente è il
desiderio di arrivare a questo importantissimo appuntamento elettorale nelle
condizioni migliori che ha surriscaldato gli animi e convinto Maliki e il suo
partito ad andare a cercare sul campo, con la forza, una legittimazione al
momento in declino. Le urne decideranno quali saranno le forze all’interno del
mondo sciita ad avere maggiore influenza nel sud, in particolare a Bassora.

Le avvisaglia per Dawa e SIIC non sembrano buone, allora meglio tentare
di risolvere la questione Sadr in via preventiva garantendosi così mano libera
sullo svolgimento delle elezioni e un risultato pieno che adesso appare
difficile. Strettamente collegato al discorso elettorale c’è anche il ventilato
progetto di una confederazione (sciita) di governatorati del sud, nell’ambito
di un futuro Iraq federale. Tale ipotesi è fortemente caldeggiata dal SIIC –
pronto a sfruttare la sua maggiore forza rispetto agli altri partiti sciiti per
guadagnarsi il controllo di quella che un domani potrebbe essere la
macroregione irachena sud – e il Dawa non potrebbe che accettarla.

Nella
partita che si sta giocando in casa sciita, il convitato di pietra, l’Iran, fa
da arbitro. Un arbitro del tutto particolare, però, che invece di applicare le
regole del gioco… gioca. Teheran ha praticamente in mano il risultato della
partita e può decidere a piacimento, a seconda delle convenienze del momento,
quale dei due fronti appoggiare. Negli scontri di Bassora ha compiuto un capolavoro
di realismo che farebbe impallidire persino un Von Kaunitz: ha fornito supporto
e assistenza sia alle truppe irachene che all’Esercito del Mahdi. Ne è uscita
fuori una situazione (apparentemente) paradossale per cui l’Aviazione americana
appoggiava le truppe irachene che allo stesso tempo venivano rifornite di cibo
e munizioni dai camion e dai pickup dei pasdaran. Contemporaneamente, i soldati
iracheni sparavano contro i miliziani sadristi “consigliati” ancora dai pasdaran.
Il paradosso è solo apparente dal momento che l’obiettivo dell’Iran non è la
vittoria di una parte, ma che nessuno vinca. L’Iran ha così colto l’occasione
per mostrare a Maliki il proprio ruolo nelle questioni irachene, soprattutto a futura
memoria di un’eventuale fuoriuscita americana dallo scenario, e alle milizie sciite
come senza l’aiuto dei pasdaran non vanno da nessuna parte. Ma il messaggio è
chiaro anche a Washington, dove è giunta la conferma di chi sia il vero regolatore
della bilancia della violenza irachena.