Islam: che succede se la società civile non si sveglia

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Islam: che succede se la società civile non si sveglia

04 Luglio 2016

Bisogna augurarsi che avvenga quello che ha scritto ieri Assuntina Morresi sull’Occidentale, che dopo le ultime stragi, Istanbul, Baghdad, Dacca, la comunità islamica abbia uno scatto di orgoglio, che ci sia una vera, grande mobilitazione contro il terrore. Che la società civile reagisca, che i governi occidentali costringano le classi dirigenti del mondo musulmano ad accettare il principio della reciprocità – una chiesa aperta nei vostri Paesi per ogni moschea nei nostri, se no stop ai visti per gli immigrati. Che quei Paesi, messi sotto pressione, riescano ad educare le giovani generazioni arabe a un cultura che non sia quella dettata dall’odio contro l’Occidente. 

Ma siccome non è detto che tutto ciò avvenga, anzi, fino adesso non c’è alcun segno tangibile che le cose stiano andando diversamente, dobbiamo attrezzarci. Bisognerebbe capire, ad esempio, che non c’è un nesso di causa-effetto tra gli attentati vigliacchi del terrorismo contro civili innocenti e le sconfitte che lo Stato islamico sta rimediando in Siria, Iraq e Libia, per cui attacchi come quello di Dacca sarebbero una conseguenza tattica dell’arretramento strategico del Califfato. Purtroppo la storia successiva all’11 Settembre c’insegna il contrario, che la guerra permanente scatenata dall’Islam fondamentalista contro l’Occidente si trascina dietro tutte e due le cose, le vigliaccate dei kamikaze e le operazioni condotte sul campo. 

Distrutto un paradiso del terrore se ne forma un altro, l’Emirato talebano in Afghanistan, le paludi di Al Qaeda nelle su diverse ramificazioni globali, l’Isis a cavallo della Mesopotamia. Cambiano le sigle della Spectre, cambiano i luoghi dell’acquartieramento, ma la strategia è la stessa: l’internazionale nera recluta, indottrina e manda a colpire i suoi adepti occupando porzioni di territorio dove addestrarli. Si possono bonificare le paludi con i missili lanciati dagli Apache sulla testa dei nazisti islamici, inviare nostri consiglieri militari sul campo per dare manforte alle truppe “alleate” dei Paesi arabi, ma non si può estirpare il male ovunque e contemporaneamente.

Tanto più che ci si continua a stupire che gli islamisti siano persone ben istruite e di buona famiglia, vedi il gruppo degli attentatori di Dacca, come se l’identikit di Osama Bin Laden e dei boia dell’11/9 non ci avesse insegnato niente: il nemico è tra noi, è la “white al quaeda”, il boss della costola del Califfato in Bangladesh sarebbe un canadese. Questo è il guaio: i capibastone che spacciano la filosofia della morte coltivata dall’islam fondamentalista, trasformando i giovani islamici in “perdenti radicali” (la definizione è di Enzensberger), insegnano a sterminare chi non conosce il Corano. Distruzione e autodistruzione, è l’unica strada che conoscono per darsi uno straccio di identità. Questi “pezzi da novanta” del terrorismo vanno stanati ovunque essi siano e si nascondano. 

Per cui se la situazione non cambia, se elites e classi popolari nel mondo arabo non riusciranno a scrollarsi la scimmia di dosso, ai governi occidentali non resta che la repressione, le operazioni di carattere “pre-emptivo”. Se il quadro resta quello che conosciamo la domanda non sarà più quanti 007 abbiamo nel mondo – in Bangladesh gli italiani erano già finiti nel mirino da tempo – ma come usare i nostri agenti per identificare e risalire ai Gestapo che armano la mano della manovalanza. Gestapo che in seguito un commando ben addestrato potrebbe occuparsi di far sparire senza lasciare traccia, com’è avvenuto con Bin Laden in Pakistan.

Ci auguriamo davvero che non si debba arrivare di nuovo a tanto, alle “rendition”, Guantanamo e tutto il resto, che ci sia un risveglio nel mondo arabo, una chiamata collettiva alla ragionevolezza, ma per dirla con Churchill, quando le democrazie si arrabbiano possono essere molto più spietate dei regimi che vorrebbero sovvertirle.