Ecco cosa il viaggio di Francesco in Iraq ci insegna sull’Islam

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Ecco cosa il viaggio di Francesco in Iraq ci insegna sull’Islam

08 Marzo 2021

Basterebbe sfogliare un Atlante storico per rendersi conto di quanto ci riguardi. Ma in tempi di street view, le immagini del Papa nella piana di Ninive, ad Ur e nella casa di Abramo sono di una potenza nettamente maggiore nel comunicare che l’Iraq ci riguarda, che il medioriente ci riguarda, che la nostra civiltà nasce da lì, da quella Mezzaluna verde che ha contraddistinto gran parte della storia dell’uomo, della sua cultura, della sua arte, della sua violenza, del suo sapere. E non può venirci in mente solo perché sentiamo risuonare attraverso i discorsi del Papa la nostra bellissima lingua nei saloni del Palazzo Presidenziale di Bagdad o sulle rovine della Chiesa di Mosul.

Lo dico da non credente. Ma quando il Papa afferma “Dio è misericordioso e l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello” e aggiunge “ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione, e noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione” coglie esattamente la contraddizione interna al fenomeno del fondamentalismo islamico. D’altronde nella bimillenaria storia della Chiesa ci sono già stati casi analoghi, solo negli ultimi decenni già Papa Giovanni Paolo II seppe intercettare, anticipare ed agevolare la caduta dell’ideologia comunista nelle sue applicazioni più cruente e liberticide in Europa. E forse non è un caso che entrambi non siano di nazionalità italiana, cosa che forse ha consentito loro di avere una visione più aperta ai fenomeni mondiali.

Ciò che conta della visita di Papa Francesco in Iraq non è solo il simbolismo del gesto, il ricordo della figura di Abramo che unisce le tre religioni monoteiste, l’attenzione alle minoranze, cristiana quanto yazida, ma è la capacità di comprendere il mondo islamico forse molto più di quanto non sappiano fare le diplomazie occidentali. L’Occidente da queste parti è ricordato come quella parte di mondo cosiddetto civilizzato che ha inventato prove inesistenti, per giustificare un’invasione; che non ha mai approfondito la differenza fra Islam sunnita ed Islam sciita; che ha confuso le millenarie Ziggurat per depositi di armi di distruzione di massa; che ha scatenato i peggiori demoni fino a quel momento repressi e contenuti da rigide norme figlie di società tribali che trovavano un motivo di convivenza nelle regole scritte dalle storie e nella storia di società, clan e famiglie. Nulla a che fare con le nostre democrazie rappresentative e con le nostre libertà borghesi; ma quanta consapevolezza in più nel riconoscimento delle diversità anche e soprattutto religiose.

E la maggiore comprensione del mondo islamico è evidente dalla scelta degli interlocutori: Papa Francesco nel 2019 ha incontrato l’Imam sunnita egiziano Al Tayyeb, esponente della tradizione mistica del sufismo; In Iraq in questi giorni incontra invece Al Sistani, il Grande Ayatollah sciita. Entrambe le dottrine presentano aspetti essenziali o organizzativi tali da renderle più affini di altre alla Chiesa cattolica, facilitando il contatto. Ma Al Tayyeb è anche la figura che, all’interno del mondo sunnita, si contrappone ai Fratelli Musulmani, mentre Al Sistani si distingue dall’Iran sciita khomeinista proprio per la sua contrarietà all’uso politico della religione. Due figure centrali per il dialogo con l’Islam.

Papa Francesco, dunque, indica la via all’occidente laico e la premura dimostrata nello scegliere questo momento, in piena pandemia e in una terra ancora non in sicurezza, dovrebbe risvegliare più di un attore della scena internazionale sull’urgenza di attivare i canali necessari per arginare il fenomeno del fondamentalismo religioso e del terrorismo connesso. Chissà che non funzioni anche per l’Italia, i cui confini della politica estera sembrano sempre più ristretti fra le burocrazie europee e le Alleanze tradizionali. Assi fondamentali, certo, che non hanno però sempre brillato per le azioni in medioriente. Forse è proprio questo che Papa Francesco aveva tanta fretta di dirci.