Islamabad lascia una provincia ai talebani. Che ne sarà del Pakistan?

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Islamabad lascia una provincia ai talebani. Che ne sarà del Pakistan?

23 Maggio 2008

Continua in Pakistan la politica di appeasement nei confronti delle forze islamiste. Lo scorso mercoledì, il governo provinciale della North-West Frontier Province (Nwfp) ha siglato un accordo con la milizia talebana di Maulana Fazlullah per ripristinare la pace nella valle della Swat, martoriata negli ultimi otto mesi dalle incursioni dei fondamentalisti. Fazlullah è un personaggio di spicco della galassia islamista pakistana. Il suo gruppo è una costola di Tehrik-e-Taliban, l’organizzazione ombrello dei talebani pakistani. 

La crisi nella Swat è scoppiata lo scorso ottobre, quando le milizie islamiste hanno ingaggiato una lotta con le forze di sicurezza locali per prendere il controllo della zona. Per riconquistare il pieno controllo della valle e della strategica Karakoram Highway (che collega il Pakistan con la Cina), il governo di Islamabad è arrivato a schierare 5.000 uomini tra militari e paramilitari, oltre a 300 unità delle guardie di frontiera e 1.200 poliziotti. 

L’accordo – suddiviso in 15 punti – prevede che le milizie talebane locali riconoscano l’autorità federale e provinciale nell’area e forniscano aiuto per mantenere la legge e l’ordine nell’intero distretto della Swat, in special modo nella lotta alla criminalità comune. Per quanto concerne la lotta armata, le milizie di Fazlullah si impegnano a cessare le violenze contro la popolazione civile, a non attaccare più le truppe e le installazioni governative, a non reclutare e addestrare attentatori suicidi. 

In cambio, i talebani della Swat hanno ottenuto concessioni importanti, come il ritiro delle truppe pakistane dall’area e la cancellazione delle imputazioni giudiziarie pendenti. Il punto più importante – e controverso – dell’accordo riguarda però l’introduzione della sharia. Le autorità federali e provinciali si sono infatti impegnate a riconoscere l’autorità delle corti coraniche nei giudizi riguardanti reati minori, mentre per quelli più importanti (come l’omicidio, ad esempio), le corti ordinarie saranno affiancate da esperti della legge islamica.  

Fazlullah ha sottolineato che il successo dell’intesa di pace dipenderà dall’applicazione della sharia nella regione. L’accordo stabilisce però che siano rispettati i diritti degli appartenenti ad altre religioni, che non sia imposto il velo alle donne, che a queste sia garantita anche l’educazione scolastica e l’accesso alle strutture sanitarie locali (in particolare, sarà ripresa la campagna di vaccinazione anti-polio, che l’Unicef aveva cancellato dopo le minacce ricevute dai miliziani fondamentalisti). 

Bashar Ahmad Bilour, premier provinciale della Nwfp, ha giustificato l’accordo – il migliore possibile al momento – adducendo a motivi ‘umanitari’, al fatto che la popolazione locale è ormai arrivata allo stremo delle forze, presa nel mezzo tra il fuoco dell’Esercito federale e quello dei militanti talebani. A suo dire, inoltre, nel distretto della Swat sarà introdotta una versione ‘non troppo severa’ della sharia, che ricalca le linee di una legge del 1999. 

Bilour appartiene all’Awami National Party, il partito nazionalista pashtun che ha vinto a febbraio le elezioni locali nella Nwfp e che è alleato del governo federale guidato da Yusuf Raza Gilani. La possibilità di negoziare con le diverse realtà fondamentaliste pakistane è uno dei punti chiave del nuovo esecutivo di Islamabad e, nonostante la recente crisi di governo, accomuna sia il Pakistan People’s Party di Asif Ali Zardari sia il Pakistan’s Muslim League-Nawaz di Nawaz Sharif. Anche le forze armate sono favorevoli ad aprire trattative con le milizie islamiste, preoccupate dalle elevate perdite registrate nella lotta contro di loro e dai pochi progressi compiuti dai propri soldati nelle operazioni counterinsurgency. 

Dal mese scorso, il governo federale è impegnato in un controverso negoziato di pace con Baitullah Mehsud, il leader di Tehrik-e-Taliban, che controlla il Waziristan del sud, nelle aree tribali (Fata), da dove partirebbero le operazioni dei gruppi talebani e di al-Qaeda contro le forze americane e Isaf impegnate nel confinante Afghanistan. Come parte dell’accordo, il gruppo di Mehsud e l’Esercito pakistano hanno proceduto la settimana scorsa a uno scambio di prigionieri, che ha coinvolto anche Tariq Azizuddin, l’ambasciatore pakistano a Kabul, rapito tre mesi fa dai talebani pakistani. L’Esercito di Islamabad, inoltre, ha già cominciato a smantellare i checkpoint nell’area. 

Sono gli stessi osservatori pakistani a nutrire dubbi su questa politica di sistematica apertura ai gruppi radicali islamici. L’accordo sulla valle della Swat, in particolare, presenta diversi angoli bui, che ne renderanno difficile l’attuazione. Concedendo una così larga autonomia giuridica agli islamisti, il governo federale ha abdicato alle proprie responsabilità, indebolendo l’autorità centrale dello Stato. Senza contare che dall’accordo sono esclusi gruppi oltranzisti come Jaish-i-Mohammad, che operano nella zone limitrofe. 

Scontata, naturalmente, la reazione negativa degli Stati Uniti. Washington accusa le autorità pakistane di favorire la nascita di una "enclave islamista riconosciuta" nel loro Paese, che nel giro di poco tempo diverrà un rifugio per le varie fazioni talebane e per i miliziani di al-Qaeda, e che si aggiungerà a quelli nati nelle Fata, in seguito alla tregua firmata nel 2006 sotto gli auspici del presidente pakistano Pervez Musharraf. 

L’amministrazione Bush sta esercitando forti pressioni sul governo pakistano perché abbandoni il dialogo con Mehsud, si impegni per la sua cattura e aumenti i propri sforzi per ridurre gli attacchi dei guerriglieri lungo il confine con l’Afghanistan. L’opinione pubblica americana non riesce a comprendere perché il proprio governo aiuti militarmente ed economicamente un Paese che scende a patti con il ‘nemico’. Per cercare di raffreddare la situazione, Gilani ha spiegato a George W. Bush che nessuna trattativa sarà conclusa con i miliziani se questi non deporranno prima le armi e che, in realtà, il governo pakistano non sta negoziando con Mehsud, ma con altri influenti leader tribali non implicati direttamente nelle trame islamiste. 

A livello ufficiale, solo da Gran Bretagna e Afghanistan sono giunti timidi segnali di apprezzamento per le mosse delle autorità pakistane. Secondo Londra, con l’accordo nella valle della Swat cesseranno le violenze contro la popolazione locale, mentre per Kabul la creazione di questa enclave islamista potrebbe ridurre la diffusione dei fondamentalisti nelle aree limitrofe e oltre il confine. 

E’ però Syed Saleem Shahzad, responsabile per l’Asia meridionale di Asia Times ed esperto conoscitore del fondamentalismo pakistano, a spegnere le illusioni inglesi e afghane. Secondo Shahzad, Mehsud – che è strettamente legato ai vertici di al-Qaeda – non ha in realtà nessuna intenzione di concludere un accordo con il governo pakistano. Nella sua ottica, bombe e negoziati sono mezzi differenti per giungere a uno stesso fine: sfruttare l’attuale congiuntura politica per minimizzare il contributo del Pakistan alla guerra al terrore sponsorizzata dagli Usa.