Islamofobia alza il colesterolo, l’ultima bufala del politicamente corretto
24 Settembre 2016
Adesso finalmente sappiamo da dove vengono gli eventuali chili di troppo dei maomettani che girano con coltelli in tasca e bombe sotto i burqa, thawb o jilbab. Non sono i piatti francesi pieni di burro, o la cucina americana e i suoi grassi saturi, e neppure i crauti e la carne rossa dei tedeschi. Ce lo spiega Goleen Samari, ricercatrice all’Università del Texas a Austin, dalle pagine del Dallas Morning News. Il titolo del pezzo, in italiano, suona così: “Dobbiamo trattare l’islamofobia come un problema di salute pubblica”. Una teoria decisamente innovativa, che forse cambierà la storia per sempre: l’islamofobia – che Samari rappresenta come l’odio irrazionale e discriminatorio contro i musulmani – porta “alla paranoia, disagi psicologici, riduce la felicità, alza il colesterolo, porta all’obesità e ad altri problemi di salute”. Tra cui depressione e persino il cancro.
No, non abbiamo letto male. La professoressa è certa del fatto che un sistema di discriminazione, come quello che avrebbero messo su negli USA (davvero?!), e nell’Occidente tutto, può essere traumatizzante, con impatti gravi e persistenti sulla salute. Nell’articolo fa riferimento a numerosi studi, senza il minimo straccio di prova o di fonte che faccia da garanzia. Ce n’è persino uno che rileva come la mancanza di sostegno sociale porti le donne musulmane immigrate alla depressione. I dettami dell’islam ci raccontano, piuttosto, che, se è vera la depressione, dipende da quanto sono maltrattate dai loro mariti. L’islamofobia impedirebbe, inoltre, anche ai musulmani americani di “trovare assistenza sanitaria con conseguente diagnosi di cancro in fase avanzata”.
La signora Goleen Samari presenta così la sua narrazione nella maniera che più si confà a quelle ricostruzioni vittimistiche da quattro soldi: banalità e paradossi. Eravamo ormai consapevoli di essere stati immersi in una società in cui il dio salute imperasse. Ma adesso la nevrosi da fitness inizia a sfornare effetti collaterali un tantino squilibrati. Eppure, a quanto pare, la teoria perfetta, quella che ci mancava è arrivata. Ed è davvero strano che gli intellettuali nostrani siano stati battuti sul tempo. Nel corso degli anni il salutisticamente corretto ha cancellato un po’ di tutto: dalla carne ai dolci, dal fumo alle bevande non solo gassate. Le linee guida per la salute perfetta hanno moltiplicato le loro pagine in maniera esponenziale, ma sotto la voce “divieto assoluto” non pensavamo mica di trovarci l’islamofobia… Evidentemente, però, è tutto lì il segreto per la pace nel mondo. Avrebbero dovuto dirlo prima. Magari cambiavano pure il programma delle giornate di Assisi, magari c’è un modo salutista di costruire la pace nel mondo.
Presto, forse, anche l’Unione Europea ci farà una norma, e la metterà di fianco a quella della curvatura perfetta che deve avere una banana per dirsi banana. O probabilmente finiremo per trovare nei manuali di filosofia un nuovo esempio di sillogismo: “l’islamofobia nuoce gravemente alla salute. Quel che nuoce alla salute è un’arma di distruzione di massa. L’islamofobia è un’arma di distruzione di massa”. Per adesso agli inquirenti è stata data l’ennesima grana: a quanto pare, prima di condannare il protagonista di un attentato, dovranno fargli le analisi del sangue. Perché l’ordigno innescato potrebbe essere colpa del colesterolo che non lascia arrivare bene il sangue al cervello. Allora subentrerà anche l’attenuante di “sintomi di islamofobia”. E, nel caso in cui il maomettano si sarà fatto saltare in aria, si tratterà di una sorta di eutanasia (tali gli effetti sulla salute!) – imposta anche al suo prossimo – e non di un gesto nella speranza di un paradiso in cui ad attenderli ci fossero “fanciulle dai seni pieni” (Corano LXXVIII,33), “quelle dagli sguardi casti, dagli occhi grandi” (Corano XLIV,54), che gli sarebbero stata concesse in spose” (Corano LII,20). Donne “mai toccate da uomini o da dèmoni” (Corano LV, 56), che Allah “ha fatto vergini” (Corano LVI,36).
Il termine islamofobia ha fatto presto ad entrare a pieno titolo nel lessico quotidiano, e si è ritagliato un posto d’onore accanto a “razzismo” e “sessismo”. La costruzione strategica di “islamofobia”, che affonda le sue radici nella parola islam, e non musulmani, ha più di un mero scopo lessicale. È stata progettata, in un appello al pregiudizio razziale, per equiparare il fanatismo con la critica dell’islam. Giustifica la violenza e l’omicidio. Rende più salde le loro convinzioni rispetto al fatto che il pensiero critico, in particolare su certe questioni, sia immorale. Ma lascia, allo stesso tempo, anche presumere che i maomettiani, sopratutto in Occidente, non sono abbastanza maturi da saper gestire le critiche. Il termine, che siamo stati costretti a ripetere infinite volte in queste righe, è un chiaro nemico della libertà d’espressione, anzi, di pensiero. E’ l’ennesima prova che la dittatura del politicamente corretto è feroce e meschina. L’importante è non far perdere la pazienza ai musulmani: meglio farla perdere a noi cercando di colpevolizzarci ancora, e convincerci che, come il fumo, “l’islamofobia passiva” danneggia la salute del nostro vicino maomettano.