Israele compra 30 aerei a Finmeccanica ma il governo Monti fa finta di nulla

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Israele compra 30 aerei a Finmeccanica ma il governo Monti fa finta di nulla

Israele compra 30 aerei a Finmeccanica ma il governo Monti fa finta di nulla

01 Marzo 2012

Una settimana e mezzo fa il direttore generale del ministero della Difesa israeliano, Udi Shani, ha annunciato che lo Stato d’Israele acquisterà 30 aerei da addestramento M-346 dell’italiana Alenia-Aermacchi. Per anni in Italia diplomatici, militari e imprenditori hanno operato per promuovere la proposta italiana che ha condotto al più grosso affare nel campo militare mai firmato tra Israele e lo Stivale. Secondo fonti coinvolte nelle trattative, l’affare si è concluso con una decisione a favore dell’Italia, piuttosto che della Corea, grazie all’impegno di reciprocità assunto dagli italiani: l’acquisto di aerei d’intelligence fabbricati dalla IAI, oltre allo sviluppo ed alla produzione di un satellite d’avanguardia sempre in campo d’intelligence. Il valore complessivo dell’affare si aggira intorno a due miliardi di dollari. 

La decisione israeliana ha una grande importanza per gli italiani. Prima di tutto, la scelta dell’aereo italiano da parte dell’Aeronautica militare israeliana rappresenta un certificato di garanzia. Prossimamente, l’Aeronautica militare americana dovrà decidere l’acquisto di 300 aerei analoghi e, indubbiamente, la scelta israeliana potrà influire su tale decisione, come pure su quella di altri eserciti. In secondo luogo, il contratto dà un carattere istituzionale alla profonda collaborazione tecnologica tra i due Paesi. In terzo luogo, il contratto fornirà all’Italia soluzioni alle sue esigenze nel campo della sicurezza.

Tuttavia, mentre i rappresentanti israeliani a Roma si dimostravano soddisfatti di poter portare buone nuove ai colleghi italiani, le istituzioni italiane hanno mantenuto un silenzio rombante. Esclusa la Aermacchi, non è stata fatta alcuna dichiarazione ufficiale da parte del ministero degli Esteri e da quello della Difesa a Roma. Anzi, neppure l’Ambasciata d’Italia a Tel Aviv ha fatto commenti.

Commentatori militari ritengono che il silenzio italiano sia testimonianza dell’importanza attribuita al contratto da parte dell’amministrazione italiana. Detto silenzio deriverebbe da calcoli di ordine diplomatico, economico e sociale. L’aspetto diplomatico è chiaro. In un periodo di tensione regionale, l’Italia non ha alcun desiderio di confrontarsi con i nemici d’Israele. L’Iran, che ha recentemente dichiarato la propria decisione di interrompere le forniture di petrolio a Francia ed Inghilterra, non ha per ora incluso l’Italia nel boicottaggio, e Roma preferisce mantenere toni moderati. Tuttavia gli italiani avrebbero mantenuto un analogo silenzio anche se avessero firmato un così importante affare nel campo della sicurezza con altri Paesi. Le due seguenti considerazioni possono spiegarlo bene.

In un periodo di tagli di bilancio, quando il Ministero della Difesa italiano annuncia che il contratto di acquisto di caccia bombardieri F-35 concordato all’inizio del millennio si ridurrà a 90 aerei anziché 131, nessuno a Roma è interessato a lanciare una campagna mediatica per spiegare perché sia importante firmare un contratto con Israele proprio adesso. Dichiarazioni ufficiali non farebbero altro che suscitare polemiche. Anche il fatto che il contratto creerà posti di lavoro non persuaderà un’opinione pubblica, attualmente molto sensibile alle questioni economiche.

La considerazione d’ordine sociale è anch’essa decisiva. Agli italiani piace sposare cause pacifiche, non belliche. Questioni militari non sono accolte con simpatia, neppure quando si tratta di eccellenza e di successi italiani nel campo. Vantarsi di un affare che mette la tecnologia italiana avanzata a disposizione di uno Stato come Israele, che potrebbe un giorno utilizzare fini bellici gli aerei su di essa basati per, non è un motivo d’orgoglio per il pubblico italiano. Perché farlo, dunque? Soldati italiani possono sacrificarsi in una lotta frontale contro il terrorismo in Afganistan ma, per l’opinione pubblica, si tratterà sempre di missioni di pace. A pagare il pesante prezzo sono quegli ottimi soldati e comandanti italiani che non ottengono riconoscimento per la loro opera. Uno di questi è il Ministro della Difesa, il Generale Giampaolo Di Paola, che ha alle spalle un passato ammirevole al comando delle forze NATO. Il mese prossimo è prevista una sua visita in Israele, e forse allora sentiremo per la prima volta dichiarazioni ufficiali in merito.

*Menachem Gantz è corrispondente in Italia per il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth.

Tratto dallo Yedioth Ahronoth