“Israele Day”, tanti giovani determinati e senza paura
15 Gennaio 2009
C’erano tanti giovani ieri sera all’Israele Day. Ragazzi e ragazze della comunità ebraica di Roma a manifestare in Piazza Montecitorio. La spiegazione migliore di quello che sta succedendo in questi giorni in Italia l’ha data proprio uno di loro, un bel giovanotto alto e stretto nel suo piumino nero: “Stamattina ero in classe e a un certo punto la professoressa ha iniziato a dire che gli israeliani a Gaza stanno ripetendo quello che fecero i nazisti durante l’Olocausto. Mi sono sentito ribollire dentro, avrei voluto alzarmi e intervenire, ma poi ho pensato che quest’anno ho l’esame di maturità e alla fine sono rimasto zitto”.
Che poi è la stessa cosa che aveva detto una delle organizzatrici della manifestazione, la vicepresidente della Commissione Esteri e Portavoce dell’Associazione "Italia-Israele", onorevole Fiamma Nirenstein: “siamo qui per testimoniare quello che ci succede in questi giorni con gli amici, nei luoghi di lavoro, dove gli ebrei o chi difende Israele soffre perché viene criticato, a volte offeso, accusato di essere un guerrafondaio, e invece è tutto il contrario, siamo mossi da un sentimento di pace”.
Paolo Guzzanti ha augurato “buona guerra” a Israele, riassumendo senza fronzoli le ragioni dell’intervento a Gaza, con tutto il loro peso strategico di vite umane spezzate. E “pace” è una parola che torna spesso tra i ragazzi della comunità ebraica romana, quando si chiedono chi sono i loro interlocutori nel campo palestinese, quando li senti sperare in un mondo arabo moderato, riformista, che sappia davvero cogliere le straordinarie possibilità offerte dalla risoluzione del conflitto, per esempio in termini di sviluppo economico, coesistenza, progresso sociale.
Ma poi padri e figli si ricordano delle svastichette stitiche di Piazza Bologna. Del Tg3 e del Tg5 che dedicano solo qualche spot ai razzi su Sderot, o alle decine di migliaia di razzi sparati da Hamas su Israele negli ultimi 8 anni. In quel momento le voci e i modi diventano più determinati e prevale la difesa della propria identità e della propria Storia.
“Stiamo lottando per difendere i nostri cittadini, non per uccidere – dice Rachel Feinmesser, il capo ufficio stampa e portavoce dell’Ambasciata Israeliana in Italia – noi israeliani non abbiamo un’altra casa, siamo lì per restarci”. Le chiediamo che ne pensa degli episodi di antisemitismo che hanno macchiato le ultime giornate in Europa: “Sono minoranze – per adesso solo minoranze – l’opinione pubblica italiana capisce che abbiamo il diritto di difenderci”. Ci spiega le diverse forme dell’antisemitismo moderno, quello di estrema destra, quello di estrema sinistra, il fondamentalismo islamico. Il domandone è sempre quello sul fronte arabo. “L’Egitto è il primo Paese arabo che ha riconosciuto a Israele il diritto di esistere – ci dice – è un modello per tutti gli altri”, a quanto pare sta lodando gli ultimi sforzi del presidente Mubarak. “Chi sono i moderati tra i palestinesi?”. “Abu Mazen, con lui il dialogo continua”, risponde senza esitazioni.
“Fatah è ok, quello che non sopportiamo è l’ipocrisia, quelli che fanno leva sul sentimentalismo dimenticando le nostre ragioni – dice uno studente di Scienze Politiche – guardate su ‘Facebook’, ci sono almeno 40 gruppi che attaccano gli ebrei e il sionismo”. Una ragazza di qualche anno più piccola: “quelli che dicevano di essere nostri amici adesso ci attaccano, è tutta colpa dei media. Hamas ci ha messo alle strette. Abbiamo dovuto reagire. Provo pena. Abbasso la testa di fronte alle vittime”.
Vorrebbero un linguaggio più “chiaro” dalla stampa, che ogni tanto emergesse che Israele sta avendo un comportamento “morale” per quanto questa parola possa avere un significato durante una guerra. La speranza è una sola, che Hamas sia sconfitta e che la sua caduta riporti a galla l’ipotesi ‘2 popoli/2 stati’, almeno quella. “Non c’è speranza contro il terrorismo” taglia corto la ragazza.
Sul palco dell’Israele Day la politica italiana è stata unita. Pdl e Pd, radicali e vecchi socialisti,
Riccardo Pacifici, il presidente della Comunità ebraica romana: “ogni volta che muore un bambino palestinese ci inchiniamo di fronte ai suoi genitori ma la tv di Hamas insegna ai ragazzi di Gaza a odiare Israele e questi sono i risultati”. “Non potremo mai perdonare agli arabi di averci costretto a uccidere i loro figli”, e questa era Golda Meir.