Israele, la rimonta di Tzipi Livni non basterà a fermare le destre

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Israele, la rimonta di Tzipi Livni non basterà a fermare le destre

10 Febbraio 2009

Nei mesi scorsi, i sondaggi davano il Likud dell’ex premier Netanyahu come superfavorito alla vittoria nelle elezioni israeliane. Ma gli ultimi rilevamenti fatti nel weekend mostrano che Kadima, il partito moderato creato da Ariel Sharon nel 2005 e guidato dal ministro degli esteri Tzipi Livni, ha recuperato consensi, colmando almeno in parte il gap con gli avversari.

Insomma, la Livni ci sta credendo e sente che la vittoria è a portata di mano. Stamattina, dopo aver votato in una cabina elettorale di Tel Aviv, ha chiesto agli israeliani di “sperare” insieme a lei: “Ho fatto solo quello che ogni cittadino dovrebbe fare – ha detto – uscire di casa, pioggia o non pioggia, freddo o non freddo, andare al proprio seggio, entrare nella cabina, chiudere gli occhi e votare”.

Spera nella vittoria della Livni il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas: l’ANP teme che una affermazione delle destre inneschi un rafforzamento di Hamas, contraria ai negoziati con Israele. L’endorsment pro-Livni dell’ex premier Olmert, invece, è stato considerato un segnale malaugurante, fatto da un uomo politico che verrà ricordato per le sue sconfitte.   

Nonostante la campagna elettorale non abbia acceso più di tanto i cuori degli israeliani, le cassandre che avevano previsto una forte astensione sono state smentite, almeno fino adesso. Il trend dell’affluenza al voto è andato crescendo dall’apertura dei seggi nelle ore successive. Alle 18.00 aveva votato circa il 50 per centro degli aventi diritto, un dato più alto rispetto a quello del 2006 (allora fu il peggior risultato della storia elettorale israeliana, con un’affluenza finale del 63,5 per cento).

La Livni ha puntato molto sui simboli. Memore della lezione di Obama, ha spiegato di battersi “in nome di quello che abbiamo in comune e non in nome della paura, della disperazione e dell’odio”.  Ieri ha parlato di colombe e di pace ma dietro questa rinnovata sensibilità batte pur sempre il cuore di una degli architetti dell’offensiva di Gaza. Il problema è che l’elettorato non sembra aver digerito la conclusione della Guerra di Gaza, visto che gli attacchi missilistici dalla Striscia continuano e che Hamas riceverà presto una montagna di soldi sotto forma di aiuti umanitari dalla comunità internazionale.

Sulla carta, l’ipotesi più verosimile resta la vittoria del Likud e dell’estrema destra di “Israel Beiteinu”, giudicato la grande sorpresa di queste elezioni e che ha legato le sue fortune all’elettorato di origine russa (potrebbe ottenere uno storico terzo posto scavalcando i laburisti di Barak). Mentre Netanyahu non sembra disposto a fare nuove concessioni territoriali ai palestinesi, la propaganda antiaraba di Lieberman continua a battere sulla “quinta colonna” della comunità arabo-israeliana, accusata di essere solidale con Hamas. Domenica scorsa, ad Haifa, i supporter di Lieberman hanno impedito ai giornalisti arabi di seguire uno dei comizi del candidato.

Se Netanyahu otterrà un ampio margine di vittoria sarà tentato di ripetere la formula della sua precedente esperienza di governo quando, nella seconda metà degli anni Novanta, governò con una coalizione di destra tutta incentrata sul tema della sicurezza e della reciprocità nel processo di pace con i palestinesi. Oggi dice di voler promuovere una “pace economica” senza chiarire meglio come procederanno i negoziati. Resta il fatto che in passato le destre israeliane non hanno mostrato di saper governare superando le differenze di schieramento.

Al contrario, la Livni ha servito come capo-negoziatore con i palestinesi ed è convinta che un ritiro israeliano dalla West Bank sia centrale per ridare sicurezza al Paese. L’unica strada percorribile, dunque, è quella della soluzione “due popoli/due stati”. La Livni conta sugli indecisi che nel weekend erano ancora il 15% dell’elettorato, e spera che la fuga di consenso dal Likud verso l’estrema destra possa trasformarsi in un vantaggio politico per Kadima.

Il sistema elettorale israeliano tende a favorire delle coalizioni piuttosto larghe: se il Likud non otterrà un risultato convincente, Netanyahu potrebbe virare al centro creando una coalizione con i moderati di Kadima e i laburisti. Le posizioni del Likud sul controllo di Gerusalemme e il destino degli insediamenti finirebbero per ammorbidirsi anche per venire incontro all’alleato Obama.

Se questo scenario si avverasse sarebbe una conferma del fatto che le distinzioni tradizionali tra “destra” e “sinistra” in Israele sono diventate meno essenziali e che la maggior parte dei candidati ormai gravita verso il centro. Un altro dato da non sottovalutare è che aumenta la frammentazione del sistema politico: in queste elezioni abbiamo toccato la quota record di 43 partiti registrati, a fronte dei 31 delle elezioni del 2006.      

L’impressione generale è che gli israeliani, sempre meno politicizzati e sempre più disposti a mettere in discussione le vecchie appartenenze, chiedono un governo più forte ai loro politici, un esecutivo con le idee chiare su come proteggere il Paese. Gli elettori stanno votando spinti dalle questioni legate alla sicurezza, temendo per il futuro e senza una leadership riconosciuta all’orizzonte. La tregua con Hamas rischia di spezzarsi da un momento all’altro e nessuno sembra avere risposte certe su quello che accadrà nei prossimi mesi.