Israele, lo Shas dice no alla Livni, si va verso le elezioni

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Israele, lo Shas dice no alla Livni, si va verso le elezioni

25 Ottobre 2008

 Se mai ce ne sarà una. Perché l’annuncio del rabbino Ovadia Yosef pone seri dubbi sulle capacità dell’attuale ministro degli Esteri israeliano di riuscire nel suo intento entro domenica. Per forzare la mano ai suoi interlocutori, la Livni aveva dettato giovedì scorso un vero e proprio ultimatum: accordo sulla coalizione di governo entro domenica o elezioni anticipate. Dopo il gran rifiuto dello Shas, proprio quella del voto sembra adesso l’ipotesi più plausibile.

La direzione del partito ultraortodosso israeliano Shas ha dunque rifiutato le condizioni poste dal premier designato Tzipi Livni. Un ‘no’ che sembra irrevocabile quello pronunciato oggi dal leader di centinaia di migliaia di israeliani ebrei di origine sefardita, l’87enne rabbino Ovadia Yosef. Dopo avere consultato il Consiglio dei Saggi della Tora, organo supremo dello Shas, Ovadia ha spiegato che alle condizioni attuali il partito "non può entrare nella coalizione di governo".

Gli ultraortodossi considerano non soddisfatte le condizioni poste alla Livni per l’ingresso nella coalizione. Due le richieste, pressoché irremovibili: i cospicui finanziamenti statali per i bambini delle famiglie numerose e disagiate (un miliardo di shekel, circa 265 milioni di dollari), e le garanzie su Gerusalemme Est, che gli ultraortodossi non intendono perdere a tutto vantaggio dei palestinesi. L’ultima offerta della Livni, 650 milioni di shekel (circa 172 milioni di dollari) per le famiglie disagiate, è stata respinta mercoledì.

"Durante i negoziati abbiamo insistito su questi due punti: aiuti importanti alla popolazione disagiata e difesa di Gerusalemme", ha ammesso lo Shas in un comunicato. "Se lo status di Gerusalemme non sarà rafforzato, e abbiamo l’impressione che la capitale d’Israele possa invece essere moneta di scambio, allora ci saranno ripercussioni su tutti i negoziati futuri", ha precisato il partito religioso. E alle condizioni attuali lo "Shas non può partecipare al governo Livni".

Il premier designato, dunque, ha avuto la risposta che cercava ma, probabilmente, non quella che sperava. Cosa deciderà di fare si saprà entro domenica. L’alternativa a un mancato accordo, per stessa ammissione della Livni, è rappresentata dalle elezioni. L’ultimatum di ieri "resta valido anche oggi", ha spiegato il suo portavoce, Gil Messing, confermando che l’attuale capo della diplomazia israeliana non ha cambiato idea.

"In teoria la Livni può formare un governo di minoranza con meno di 60 deputati sui 120 della Knesset", sostiene il politologo Gideon Doron dell’università di Tel Aviv. Ma "dovrebbe contare sui voti dei deputati arabi e a questo si oppone una parte di Kadima". E in effetti molti esponenti del gruppo parlamentare della Livni da tempo si professano dubbiosi sulla reale tenuta di una coalizione ‘risicata’ ed hanno espresso perplessità anche sulla stabilità di un nuovo esecutivo israeliano con lo Shas, attualmente rappresentato alla Knesset da 12 deputati.

Doron, comunque, ritiene che quella pronunciata ieri dagli ultraortodossi potrebbe anche non essere l’ultima parola. "Questo partito è diviso tra il desiderio di restare al potere e le simpatie della sua base per la destra guidata da Benjamin Netanyahu", ha commentato. E il rabbino Ovadia Yosef potrebbe anche voler mostrare al suo elettorato popolare l’intenzione di "difendere i suoi interessi" senza prestare il fianco agli attacchi della stessa destra.

Nonostante abbia deciso di anticipare i tempi, la Livni in realtà avrebbe tempo fino al 3 novembre per annunciare l’esito della sua missione esplorativa. E in caso di insuccesso il ricorso alle elezioni anticipate non sarebbe comunque automatico, dato che il presidente della Repubblica Shimon Peres ha la facoltà di affidare l’incarico a un secondo ed eventualmente un terzo deputato, seppure con tempi più ristretti. I due ipotetici premier designati avrebbero rispettivamente 28 e 14 giorni, contro i 42 concessi alla Livni.

Ma è un’ipotesi remota. Ormai proprio tutti, in Israele, sono convinti del fatto che un fallimento delle trattative, così come si prospetta dopo il rifiuto dello Shas, dovrebbe condurre con quasi certezza alle urne, in mancanza di un candidato più credibile dell’attuale capo della diplomazia israeliana e principale negoziatore nei colloqui di pace con i palestinesi. E secondo gli ultimi sondaggi per la Livni arriverebbe un’altra delusione, perché sarebbe la destra a vincere le elezioni.