Israele, l’unica oasi di libertà religiosa nel deserto del Medio Oriente
22 Maggio 2010
Israele “garantirà la libertà di religione, coscienza, lingua, istruzione e cultura e saranno salvaguardati i Luoghi Sacri di ogni Fede”, stabilisce la dichiarazione di indipendenza dello Stato israeliano, approvata più di sessant’anni fa, nel 1948. E ancora oggi, Israele rappresenta un’oasi di libertà religiosa nel Medio Oriente. Fin dal 1967, infatti, quando conquistò la Città Vecchia di Gerusalemme, l’accesso ai luoghi santi cominciò ad avvenire in piena libertà e con la tutela dell’autonomia religiosa delle varie comunità. Mentre prima di allora, durante tutta la dominazione musulmana, importanti restrizioni si verificavano nei confronti dei non musulmani e per quasi vent’anni gli ebrei, pur rappresentando la maggioranza dei residenti, non ebbero alcun accesso a due delle quattro città sante dell’ebraismo. Il governo israeliano, invece, si è impegnato nella ricostruzione dei luoghi sacri per cristiani, ebrei e musulmani e sempre nel 1967 ha varato la legge per la Protezione dei Luoghi Sacri, che prevede conseguenze legali per chiunque compia atti vandalici contro un sito religioso.
La principale caratteristica della popolazione israeliana è la sua grande eterogeneità. Gli Ebrei rappresentano circa l’80 per cento degli abitanti, mentre gli Arabi il restante 20, fra musulmani (16,6 per cento), cristiani (1,7) e drusi (1,7). Gli Ebrei si suddividono, a loro volta, in religiosi o ultra-ortodossi e laici. Gerusalemme resta la città sacra per eccellenza, insieme a simboli religiosi come il Muro del Pianto, la Tomba di Cristo e il Monte del Tempio. A Gerusalemme vivono circa 481 mila Ebrei (oltre a gruppi religiosi minori) e 252 mila musulmani. Proprio gli Arabi rappresentano la grande minoranza non ebraica presente in Israele e costituiscono circa un quinto della popolazione. La maggior parte vive nei villaggi della Galilea, sulla pianura costiera esterna e nel Negev settentrionale. Gli Arabi israeliani sono in prevalenza musulmani sunniti, quasi un milione e mezzo di abitanti, oltre ai Beduini, musulmani arabi i cui antenati conducevano un’esistenza nomade e i Circassi, musulmani non arabi di origine caucasica. Il Tempio del Monte, al cui interno si trovano la Cupola della Roccia e la Moschea di al Aqsa, è uno dei luoghi sacri per gli arabi israeliani. In questi decenni Israele ha garantito una politica di grande libertà e garanzia religiosa per i musulmani del proprio Stato. Basti pensare alle oltre cento moschee che sono state costruite e ai costi degli Imam – regolarmente pagati – e alle numerose scuole arabe inaugurate dal governo israeliano. Soltanto Gerusalemme ospita circa 72 moschee, 139 chiese e 996 sinagoghe e non è poi così inusuale per le famiglie di madrelingua ebraica mandare i propri figli in una scuola araba. E la possibilità di scelta non manca, visto che nella città santa ci sono ben 524 scuole, fra cui alcuni prestigiosissimi (e costosissimi) licei arabi.
Circa 250 mila sono i cristiani che vivono in Israele, per la maggior parte membri della chiesa greco-ortodossa. Gerusalemme è per loro la città sacra per eccellenza, insieme alla Chiesa del Santo Sepolcro dove Cristo fu crocifisso e poi risorse, la Basilica dell’Annunciazione a Nazareth, nella storica regione della Galilea e la Chiesa della Natività a Betlemme, in Cisgiordania. Anche i Drusi, sebbene costituiscano una comunità religiosa separata, possono essere considerati all’interno della “percentuale” araba. Sono membri di una religione sviluppatasi dall’Islam sciita nel XI secolo, i cui fedeli erano concentrati in Siria, Libano e Israele. Attualmente nello Stato israeliano vivono poco più di 115 mila Drusi, dislocati in diciassette colonie sul Monte Carmelo, in Galilea e sulle alture del Golan. E la Tomba di Jethro, sacerdote madianita e padre di Zippora, la moglie di Mosè, è uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti. Inoltre, Israele rappresenta un rifugio per la minoranza religiosa dei Bahà’ì, nata in Persia nel XIX secolo ma costretta a fuggire per le persecuzioni del governo islamico iraniano.
Oltre alla tutela delle minoranze religiose, Israele si è impegnato nel riconoscimento dei diritti politici e civili di ogni cittadino, a prescindere dal loro credo, con la legge sulla Dignità e la Libertà Umana votata dalla Knesset nel 1992. Non soltanto ebrei, ma anche musulmani e cristiani fanno parte dell’elite politica ed economica del Paese. Nel 2005, ad esempio, Oscar Abu Razek, arabo musulmano, fu nominato direttore generale del ministero dell’Interno, mentre un anno prima, per la prima volta dalla nascita dello stato di Israele, il cristiano Salim Joubram era entrato a far parte della Corte di Giustizia come giudice permanente. Il numero dei direttori delle imprese statali, che non professano l’ebraismo, è passato dal 5,5 del 2002 al 10 per cento del 2005, continuando a crescere anche in quest’ultimi anni. E anche la situazione per le donne della minoranza araba sembra essere migliorata: già nel settembre di sette anni fa, Samaher Zaina divenne la prima direttrice donna di una scuola superiore musulmana.
Purtroppo, però, Israele rimane l’unico Stato a tutelare la libertà religiosa in tutto il Medio Oriente. La vicina Palestina, ad esempio, continua a perseguitare i non musulmani che abitano nella striscia di Gaza, profanando i siti ebraici e cristiani. A Gaza vivono circa tre mila cristiani, che subiscono giornalmente le violenze e gli attacchi degli estremisti palestinesi. Anche per gli ebrei della Striscia la vita diventa ogni giorno più difficile. Tante sono le storie drammatiche, come quella di Tali Hatuel, una giovane assistente sociale, uccisa durante le proteste contro il piano di ritiro di Sharon da Gaza. Un commando palestinese prese d’assalto la sua auto, uccise lei, incinta all’ottavo mese, e poi, una per una, con un colpo alla testa, le sue quattro bambine: Hila di undici anni, Hadar di nove, Roni di sette e Meray di due. Il giorno in cui suo marito è stato costretto ad abbandonare la casa, ha messo cinque sedie sulla veranda e una candela su ognuna di esse.
In Iran, invece, dove la religione ufficiale è l’Islam, cristianesimo, ebraismo e zoroastrismo, uno dei più antichi culti persiani, sono considerati minoranze protette. Nonostante ciò prigionie, rapimenti ed intimidazioni sono all’ordine del giorno, e i fedeli Baha’i, considerati ancor meno di una minoranza, sono spesso espulsi dalle Università o espropriati persino delle proprie terre. In Arabia Saudita l’Islam è la religione di Stato e non esistono provvedimenti legislativi o legali per tutelare la libertà di culto nel Paese. Chiunque non sia musulmano non è considerato un cittadino, non è possibile praticare pubblicamente la propria fede, a meno che non sia l’Islam, e persino ai visitatori stranieri è vietato indossare o esporre simboli religiosi come crocifissi e bibbie. In Siria, dove non c’è una religione ufficiale, il sistema legale è ancora basato sulle leggi ottomane, francesi e della Sharia islamica e, sebbene la Costituzione preveda la libertà di culto, ci sono ancora alcune restrizioni a questo diritto: ad esempio, è previsto che soltanto un musulmano possa diventare presidente. Da ultimo, c’è il caso del Libano. La Costituzione tutela la libertà religiosa e l’uguaglianza fra tutti i cittadini, ma il potere resta ancora diviso fra cristiani e musulmani. Niente da fare, quindi, per Baha’i, buddisti e alcuni protestanti cristiani, non riconosciuti ufficialmente dal governo.
Nonostante la situazione odierna sia piuttosto complicata, Israele resta l’esempio da seguire per tutto il Medio Oriente: il rispetto e la tutela delle libertà civili e religiose sono il presupposto minimo per la stabilità interna e la credibilità a livello internazionale.