Israele-Palestina, Trump scardina il “dogma” dei due Stati: “Uno o due fa lo stesso”

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Israele-Palestina, Trump scardina il “dogma” dei due Stati: “Uno o due fa lo stesso”

16 Febbraio 2017

Uno o due Stati? Per Trump non fa la differenza, purché si arrivi alla pace tra Israele e Palestina. “Sarò felice con quello che piacerà a entrambe le parti. Mi va benissimo l’una o l’altra scelta”. Con una semplice mossa annunciata in una storica conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Washington, il Don scardina uno dei “dogmi” della politica estera Usa in Medio Oriente che, dai tempi di Clinton, considerava la “soluzione dei due Stati” come l’unica percorribile, salvo poi raccogliere poco o niente.

A dirlo sono i fatti se si pensa che nemmeno il riconoscimento unilaterale dello Stato di Palestina, avvenuto alle Nazioni Unite nel 2012, è servito a sbloccare il processo di pace. Trump lo ha compreso e, leggendo la realtà, ha ribadito di non essere più certo come una volta che la soluzione a due Stati fosse la più semplice.

Ecco perché il Don sembra che abbia cambiato anche l’obiettivo di fondo da perseguire: non più “trovare una soluzione” bensì “giungere alla pace” in un modo o nell’altro, purché si garantisca stabilità nella regione. Un cambiamento di priorità sottile ma sostanziale. “La pace arriverà ve lo prometto” ha dichiarato Trump nella conferenza stampa con il premier israeliano. E ancora: “L’America è al lavoro verso un grande trattato di pace”.

E questo cambiamento di priorità è confermato anche dalla richiesta ad Israele di “fermare la costruzione degli insediamenti per un po’”, questione che da sempre è oggetto di scontro tra israeliani e palestinesi, oltre che essere grande fonte di instabilità per l’intera zona. Come dire: se volete la pace, è necessario fare anche qualche rinuncia. Non a caso, Trump ha chiesto ad entrambe le parti anche una sorta di “cambio d’atteggiamento”: Israele deve mostrarsi più “flessibile”, mentre i palestinesi dovranno sbarazzarsi “dell’odio” che insegnano ai ragazzi sin dai primi anni di vita.

Segnali positivi arrivano anche dalla sponda palestinese. In un comunicato diffuso dalla Wafa, la presidenza di Abu Mazen, pur rimanendo fedele alla “soluzione dei due Stati” sostenendo che “l’insistenza del governo israeliano nel distruggere questa opzione attraverso la continuazione degli insediamenti porterà a più estremismo e instabilità”, ha colto la palla al balzo chiedendo ad Israele di “rispondere alla richiesta del presidente Trump di fermare tutte le attività di insediamento”.

Dal canto suo, Netanyahu, a chi gli chiedeva se credesse ancora ai due Stati, ha risposto che ora è necessario concentrarsi sulla “sostanza” e non sulle “etichette”. Ha confermato di voler coinvolgere i partner arabi nel perseguire la pace con i palestinesi, senza tuttavia mancare di ribadire con fermezza che i palestinesi devono riconoscere lo Stato ebraico.

Insomma, piccoli passi in avanti in una situazione che resta ancora molto complessa. Tuttavia, il fatto che Trump e Netanyahu sono sembrati concordi su tutto, e hanno posto le basi per un’alleanza totale sui temi del terrorismo, della Palestina e dell’Iran, è un fondamentale tassello nel processo di pace che il Don intende portare avanti. Inoltre l’incontro con Netanyahu segna anche un netto cambio di rotta con l’amministrazione Obama che aveva congelato i rapporti con Israele. Una mossa che, per quanto se ne voglia dire, in tempi di guerriglia e trattative, non serve proprio a nessuno.