Israele pensa all’intervento militare contro Hamas

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Israele pensa all’intervento militare contro Hamas

31 Ottobre 2007

Nel suo piccolo, la questione Hamas –
che da giugno ha preso il controllo totale della Striscia di Gaza – ricorda
molto da vicino il dossier iraniano. Anche in questo caso, infatti, il
tentativo di applicare delle sanzioni per evitare uno scontro armato si sta
scontrando con l’impossibilità di adottare misure efficienti. È per questo che
il ministro della Difesa Barak si è visto costretto a ventilare l’ipotesi –
sempre più probabile – di un’entrata dell’esercito israeliano nella Striscia.
Israele, in altre parole, si trova con le mani legate: e come per Francia,
Stati Uniti e Inghilterra, la guerra potrebbe presto rappresentare l’unica
soluzione possibile. 

L’idea di intervenire militarmente Gaza
è sul tavolo da un bel pezzo. Dopo molte consultazioni, però, Israele ha deciso
di provare la via più morbida delle sanzioni: domenica mattina, infatti, sono
incominciati i primi tagli al carburante. Ai tagli della benzina, secondo i
piani del ministero della Difesa, sarebbero seguiti quelli dell’elettricità. E
la severità delle misure, in linea teorica, doveva essere direttamente
proporzionale al numero di razzi che sarebbero ancora piovuti su Israele.

Un progetto ragionevole, se non fosse
che lunedì il procuratore generale Menachem Mazouz ha gelato il governo
israeliano: vada per il carburante, ma l’energia elettrica non si può tagliare.
Un documento rilasciato dal ministero della Giustizia riassume così la
situazione: “Il Procuratore Generale ha approvato la decisione governativa
di attivare diverse misure economiche. Ma ulteriori informazioni dovranno
essere fornite riguardo ai tagli elettrici, a causa delle possibili
ripercussioni umanitarie sulla popolazione”.

È assolutamente evidente come il taglio
del solo carburante non rappresenti una misura sufficiente per fermare i lanci
di razzi Qassam da Gaza. Israele lo sa bene, ed è in questo contesto che Barak
ha preso la parola martedì ad Army Radio: “Ogni giorno che passa ci porta
più vicini ad un’operazione militare a Gaza su larga scala” ha dichiarato
il ministro, cancellando ogni possibile illusione sulle reali potenzialità di
sanzioni dimezzate. Evidente la rassegnazione del governo di fronte
all’impossibilità di tentare misure punitive forti: “Non siamo felici di
doverlo fare (un attacco militare, ndr), non stiamo accelerando per farlo e
saremmo ben felici che si affermassero delle condizioni per evitarlo” ha
proseguito il ministro della Difesa, riferendosi indirettamente al procuratore
generale e alla speranza che possa infine dare il via libera ai tagli
energetici.

Ma al di là delle sanzioni, ad
avvicinare uno scontro armato è anche la rinnovata vitalità di Hamas. Sul
fronte politico, il gruppo islamista ostenta certezza nei confronti dei
“fratelli” di Fatah: uno dei dirigenti del gruppo, Nizar Rayan, ha pubblicamente
dichiarato che “il prossimo autunno il presidente Mahmud Abbas cadrà come
le foglie dagli alberi”. A rafforzare la sua tesi c’è una vera e propria
profezia: “Abbiamo detto che avremmo pregato nella Muntada (gli uffici di
Fatah nella Striscia di Gaza, ndr) e adesso diciamo che il prossimo autunno
pregheremo anche nella Muqata (gli uffici di Fatah nel West Bank, ndr)”.
Al di là del tono profetico, il concetto è chiaro: altro che tagli energetici,
Hamas sta bene ed è pronta a prendere il controllo della Cisgiordania. Con
tanto di brutali spargimenti di sangue ai quali la presa di Gaza ci ha
abituati.

La vitalità bellica di Hamas, poi, si è
esercitata direttamente anche nei confronti d’Israele. In barba ai tagli del
carburante, infatti, martedì dieci colpi di mortaio sono piovuti su una città
del Negev, danneggiando una casa. Hamas si è subito assunta la responsabilità
dei lanci, per poi sparare altri due razzi Qassam sempre nel Negev: uno è
caduto vicino ad un kibbutz nel Sedot Negev, l’altro in un campo aperto nel
Sha’ar Hanegev. Anche i razzi hanno danneggiato un edificio e creato shock tra
la popolazione. Una sfida palese alle sanzioni israeliane, tanto che perfino il
segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon è intervenuto condannando
pesantemente i lanci indiscriminati di razzi sul territorio israeliano. Anche
se, allo stesso tempo, il segretario ha fatto sapere di trovare
“inaccettabili” le sanzioni inizialmente progettate da Israele: ad
assecondarlo è giunto subito il verdetto del procuratore generale, bloccando i
tagli energetici.

A riprova della costante – e crescente –
pericolosità dei gruppi islamici della Striscia di Gaza, dall’Egitto è giunta
poi notizia di un piano ben architettato da parte di una cellula legata ad al-Qaeda,
fortunatamente sventato. Il progetto dei tre militanti era quello di attaccare
Israele sul suo territorio, facendosi esplodere. A tal fine il gruppo – facente
parte della “sezione” palestinese dell’Esercito dell’Islam, già
responsabile del rapimento del giornalista della Bbc Alan Johnston –  è
entrato in Egitto attraverso un tunnel lungo 950 m, per poi finire nelle mani
della polizia egiziana. I tre sono stati sorpresi proprio mentre riemergevano
dal tunnel, mentre un quarto uomo rimasto sottoterra è riuscito a fuggire. Il
gruppo, si è detto, non è direttamente collegato ad Hamas: ma mentre i tre
venivano sorpresi, il capo del braccio armato di Hamas Muhammad Deif ha
dichiarato che Hamas “avrebbe presto colpito nel cuore di Israele”.
Un’indicativa coincidenza d’intenti.

Oltre che per la sicurezza d’Israele, la
vitalità di Hamas rappresenterà presto un problema anche in vista della
conferenza di Annapolis. Olmert e Abu Mazen continuano a dialogare, cercando
un’intesa di massima: ma la sensazione è che Israele, Fatah e gli Stati Uniti
non stiano dando il giusto peso alle potenzialità dell’organizzazione
terroristica. La Striscia di Gaza, infatti, sarà parte fondamentale dello Stato
Palestinese: ma portare a ragionare i suoi padroni, da parte di Abu Mazen,
potrebbe non essere così facile. E sottovalutare la loro forza è come fare i
conti senza l’oste.