Israele rallenta l’offensiva ma i raid nella Striscia continuano

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Israele rallenta l’offensiva ma i raid nella Striscia continuano

13 Gennaio 2009

A 17 giorni dall’inizio dell’operazione "Piombo fuso", sembra giunto il momento delle decisioni importanti. Mentre prosegue la penetrazione israeliana nella Striscia, la diplomazia concorda sul fatto che le prossime 48 ore saranno decisive per un’eventuale risoluzione della crisi mediorientale. E se il governo egiziano – con il supporto dell’Europa – ha ripreso oggi i negoziati per giungere ad un cessate il fuoco duraturo, i responsabili delle operazioni militari israeliane – Ehud Olmert, Tzipi Livni ed Ehud Barak – si trovano di fronte a un bivio: fermare gli attacchi – come richiede il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – o dare il via all’affondo definitivo nella parte meridionale della Striscia di Gaza.

All’interno della Striscia, l’esercito israeliano è pronto a ogni evenienza. Sostenuti dai raid aerei e dal fuoco della marina, i militari si trovano ormai a ridosso di Gaza City: qui, nei bunker sotterranei, si nascondono i capi di Hamas. Ma è proprio in città che la guerra si fa più difficile. I combattimenti strada per strada comportano un maggior numero di perdite su entrambi i fronti: se i militanti palestinesi nascondono i propri armamenti nelle abitazioni usando i civili come scudi, i soldati israeliani – con minor libertà di movimento rispetto al campo aperto – diventano inevitabilmente facili bersagli del fuoco palestinese. Per far fronte a queste difficoltà, Israele ha fatto confluire nella Striscia parte dei 10.000 riservisti mobilitati sin dall’inizio delle operazioni di terra. Sul fronte aereo, intanto, l’aviazione sta concentrando i propri sforzi al confine tra la Striscia e l’Egitto: obiettivo dei raid sono i tunnel utilizzati da Hamas per il contrabbando di armamenti.

Dal punto di vista dei comandi militari, "Piombo fuso" è stata un successo: i miliziani colpiti dal fuoco israeliano sono almeno 300, e Hamas starebbe combattendo senza una chiara strategia. Rassicurazioni in questo senso sono giunte da parte del Generale Amos Yadlin, a capo dell’intelligence militare: secondo Yadlin, chiamato a rapporto dal governo, le infrastrutture e gli armamenti di Hamas sono stati pesantemente danneggiati. Dopo due settimane di guerra, Hamas si trova a corto di munizioni e ha dimezzato i lanci di razzi contro il Negev: resta però – ha concluso il generale – ancora lontana dall’alzare bandiera bianca. Notazioni importanti sono arrivate anche dal capo dello Shin Bet, Yuval Diskin: secondo il responsabile del servizio di sicurezza, molti abitanti di Gaza sarebbero furiosi con i capi di Hamas, ritenuti responsabili della violenta operazione israeliana. Hamas, secondo l’intelligence israeliana, sarebbe inoltre spaccata al suo interno: se i leader di base in Siria – guidati da Meshal e sotto diretta influenza iraniana – premono perché Gaza continui a combattere, i leder nella Striscia sarebbero inclini ad accettare un immediato cessate il fuoco.

Le divergenze non sono solo quelle nel fronte palestinese. Nel corso di una riunione tra il premier israeliano Olmert e i suoi due ministri Tzipi Livni (Esteri) ed Ehud Barak (Difesa), sono emerse importanti divergenze sul futuro prossimo di "Piombo fuso". Secondo Olmert, Israele dovrebbe intensificare le operazioni militari per portare a termine il lavoro iniziato il 27 dicembre scorso: sul piano militare, questo significherebbe spostare le truppe – con l’aggiunta di molti riservisti – nella zona meridionale della Striscia di Gaza al confine con l’Egitto, già preso di mira dall’aviazione. Interrompere ora l’attacco, secondo il premier, significherebbe perdere un’opportunità: lo stallo diplomatico, infatti, lascia spazio ad altri giorni di combattimenti. Di parere opposto sono la Livni e Barak: secondo il ministro degli Esteri, intensificare gli attacchi significherebbe isolare completamente Israele sul fronte diplomatico; a preoccupare Barak, invece, sono le difficoltà che l’esercito incontrerebbe penetrando così a fondo nella Striscia.

Le differenti vedute all’interno della "troika" che guida le operazioni militari israeliane vanno lette alla luce delle imminenti elezioni politiche. Rispetto ai suoi ministri, il premier dimissionario Olmert può assumere posizioni maggiormente pragmatiche: secondo il quotidiano "Haaretz", la maggioranza del Consiglio di Sicurezza sarebbe dalla sua parte. La Livni e Barak – premiati fino a questo momento sul fronte del consenso – sanno invece che un incremento delle vittime sul fronte israeliano li sottoporrebbe ad un fuoco di critiche, tanto da parte dell’opposizione quanto degli stessi elettori. Quel che è certo è che i capi dell’esercito aspettano una decisione rapida: tenere ferme le truppe, come ha insegnato la guerra del Libano, è troppo pericoloso. In visita ad una scuola a Mikveh, questa mattina Olmert ha tentato una sintesi delle diverse posizioni: se il premier spera "di vedere presto la fine delle operazioni militari", la guerra dovrà comunque andare avanti finché non cesseranno i lanci di razzi sul sud di Israele.

Continuano anche gli sforzi diplomatici a livello internazionale. E al centro dell’iniziativa, supportato dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti figura sempre l’Egitto di Mubarak: la speranza del Cairo è quella di giungere ad un accordo nei primi giorni di questa settimana. In Egitto confluiscono in queste ore tanto i rappresentanti di Hamas – che secondo il giornale arabo "Al-Hayyat"  avrebbero rifiutato il piano di Mubarak, essendoci ancora "molti dettagli da discutere" – quanto Amos Gilad, braccio destro del ministro israeliano Barak. A vigilare sulla trattative c’è anche l’inviato del Quartetto Tony Blair, convinto che l’unico modo per far tacere le armi è un piano che "metta fine al traffico di armi nella Striscia e permetta la riapertura dei valichi". Secondo il quotidiano londinese "Times", in un articolo che ha fatto molto discutere, dietro al protrarsi degli sforzi diplomatici ci sarebbe il progetto di riportare Fatah di Abu Mazen nella Striscia di Gaza.

Ma a pesare sui fallimenti della diplomazia, secondo quanto riportato con grande evidenza dal "Jerusalem Post", sarebbe anche l’Iran. Due inviati di Ahmadinejad avrebbero incontrato i leader di Hamas residenti in Siria, mettendoli in guardia dall’accettare un qualsiasi piano di pace: il quotidiano israeliano afferma di aver appreso la notizia da un funzionario governativo egiziano. Il futuro di "Piombo fuso" – nel caso in cui la diplomazia non trovasse prima una via d’uscita – resta comunque legato a una data precisa: il 20 gennaio, quando il presidente eletto Barack Obama entrerà ufficialmente alla Casa Bianca e dirà la sua sul conflitto mediorientale. Nessuno sa quale posizione assumerà il neopresidente che si è ben guardato dal rilasciare dichiarazioni in merito: ma secondo Alan Dershowitz, docente ad Harvard ed esperto del conflitto israelo-palestinese, molto semplicemente "quando Obama avrà giurato, la guerra sarà finita". Staremo a vedere.