Israele vuole che tutti gli occhi del mondo siano puntati sulla “Flotilla 2”
29 Giugno 2011
La Freedom Flotilla 2 è in procinto di salpare in direzione della Striscia di Gaza e l’opinione pubblica internazionale si domanda quali saranno le misure che adotterà Israele per ostacolarne l’arrivo sulle coste di Gaza, su cui dal 2007 – anno in cui Hamas ha preso il controllo della Striscia – vige l’embargo posto dallo stato israeliano, che da Gaza si è ritirato unilateralmente. In particolare, quali accorgimenti ha previsto il governo di Gerusalemme per evitare che si ripetano i gravi fatti di sangue del 31 maggio 2010, quando, in occasione del primo blitz della Flotilla, le forze navali israeliane intercettarono le imbarcazioni dirette a Gaza nelle acque internazionali; nello scontro che seguì tra i militari del reparto speciale “Shayetet 13” e l’equipaggio della Mavi Marmara rimasero uccisi nove attivisti filo-palestinesi. L’incidente ebbe rilevanti conseguenze a livello diplomatico per Israele. In primo luogo, la rottura dei rapporti diplomatici con Ankara, causata dal fatto che le vittime erano turche, i "pacifisti" che vi mostriamo nel video di apertura, membri dell’IHH, una sigla dell’estremismo islamico legata ad Hamas. In ogni caso il primo ministro Erdogan bollò l’azione di Israele come “terrorismo di Stato” (poi ci ha ripensato e stavolta la Marmara resterà a casa). A questo si aggiunse la condanna da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – giudicata “ipocrita” da parte di Israele – accompagnata da quella di altri Stati occidentali.
Israele rispose alle accuse basandosi sul materiale video reso man mano disponibile, attraverso cui è stato possibile dimostrato come i soldati avessero aperto il fuoco solo dopo essere stati attaccati da alcuni militanti a bordo della nave, armati di mazze e bastoni. Il tentativo di spiegare com’erano andate le cose fu comunque intempestivo e l’immagine di Israele, sempre nel mirino della comunità internazionale, ne ha risentito. Ora, per il governo presieduto da Benjamin Netanyahu si ripresenta la stessa situazione del maggio 2010, ma con alle spalle l’esperienza di un anno fa. Lunedì scorso il primo ministro israeliano ha dichiarato che alle navi della flottiglia non sarà concesso di raggiungere la costa di Gaza; se questo avvenisse, la marina israeliana procederà a fermarle e ad arrestare le persone a bordo, anche se ancora al di fuori delle acque territoriali di Gaza – specifica un ufficiale della difesa.
Alle imbarcazioni sarà consentito di scaricare i rifornimenti per Gaza nel porto egiziano di El-Arish e in quello israeliano di Ashdod, proposta che naturalmente gli attivisti hanno rifiutato perché permetterebbe, certo, di trasportare gli aiuti umanitari a Gaza, ma senza le fanfare della tv e quindi perdendo quell’alone di eroismo romantico che li circonda. Sullo stesso punto è intervenuto il Ministro della Difesa Ehud Barak, che, dopo aver definito la flottiglia una “provocazione”, ha reso note le direttive che l’esercito israeliano è chiamato ad attuare nella gestione dell’operazione: “Per prima cosa li avvertiremo, quindi spiegheremo loro la situazione e proveremo a prevenire ogni sorta di frizione, ma in ultima analisi la flottiglia non può giungere a Gaza”, aggiungendo che “se si verificassero degli incidenti, la responsabilità ricadrà sui partecipanti e sugli organizzatori” della spedizione.
Il Ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, la mette così: gli attivisti della Freedom Flotilla hanno intenzione di “creare una provocazione, cercando lo scontro e il sangue per le foto o gli schermi televisivi”, sottolineando che tra i partecipanti è presente “uno zoccolo duro di terroristi”. Il livello d’allerta ieri è aumentato quando fonti vicine all’intelligence israeliana hanno riferito che gli attivisti della flottiglia avrebbero caricato a bordo sacchi di prodotti chimici, da utilizzare nel caso di uno scontro con i militari; notizia poi smentita da un portavoce dei gruppi in navigazione.
Insomma, il governo di Gerusalemme stavolta sembra essersi preparato più scrupolosamente alla gestione del blitz (si parla di cannoni ad acqua per respingere le navi pacificamente, ma forse non basteranno). L’impressione è che non si tratti esclusivamente di un’azione preventiva sul piano logistico-militare ma anche su quello mediatico. Si vuole fornire una ricostruzione precisa dei fatti, qualcuno dice addirittura in diretta. Il quotidiano Haaretz, nell’editoriale a firma di Bradley Burston, esorta il governo a “lasciare che la flottiglia arrivi a Gaza”. A beneficiarne, secondo il giornale, sarebbe proprio Netanyahu con il suo esecutivo, oltre che l’immagine di Israele. In realtà, gli organizzatori della Flottilla non aspettano altro: un segno di debolezza di Gerusalemme che gli permetta di accreditarsi. Ed è per questo che non devono sbarcare.