It Holding, Il Riesame scarcera Perna e demolisce il castello accusatorio della Procura
02 Febbraio 2012
Davvero Tonino Perna, l’ex re dell’alta moda, ha provocato un crack finanziario secondo solo a quello della Parmalat? È stata una decisione giusta quella di arrestare l’ex patron della It Holding? No. Lo ha detto a chiare lettere il tribunale del Riesame di Campobasso, demolendo il castello accusatorio costruito dalla Procura di Isernia e avallato dal Giudice per le indagini preliminari. Grazie all’annullamento della misura cautelare, nei giorni scorsi Perna è tornato a casa. Ma più che la scarcerazione, destano clamore le motivazioni – rese note ieri – alla base della decisione del tribunale della Libertà del capoluogo di regione.
Quel castello di accuse viene smontato pezzo per pezzo, peraltro con giudizi molto severi. Un duro colpo per gli inquirenti. E non è il solo. Dopo il ritorno in libertà di Perna deciso dai giudici del Riesame, lo scorso weekend il collegio giudicante del tribunale di Isernia ha disposto il dissequestro dei beni dell’imprenditore isernino (la villa a Capri, alcune proprietà a Roma e Porto Cervo, uno yacht e un conto corrente, per un valore complessivo di venti milioni di euro). Due colpi d’ariete violentissimi contro il fortino costruito dalla Procura. Mentre le motivazioni del Riesame sembrano rappresentare il colpo di grazia; in un certo senso descrivono alla perfezione quel “castello di terracotta che man mano si sta sgretolando” figurato da Marco Franco, avvocato di fiducia di quell’imprenditore molisano che, partito da una piccola sartoria di Isernia, divenne famoso in tutto il mondo producendo marchi del calibro di Dolce & Gabbana, Versace e Roberto Cavalli (solo per citarne alcuni).
Nelle quindici pagine dell’ordinanza firmata dai giudici Gian Piero Scarlato (presidente), da Libera Maria Rosaria Rinaldi (giudice relatore) e da Teresina Pepe (giudice) viene contestato senza mezzi termini l’impianto accusatorio. Non viene risparmiato niente e nessuno. Neanche la consulenza tecnica di parte, ritenuta “nonostante la mole di pagine, evasiva ed incerta soprattutto nella ricerca della documentazione […]. L’accusa di distrazione più grave in termini economici contestata a Perna poggia su basi debolissime e su assunti errati”. Anche su un’operazione inerente l’acquisto di scarpe da una società di Hong Kong, i giudici di Campobasso ci vanno giù duro: “Il punto debole è rappresentato non già dall’individuazione del fine, quanto nella stima operata da due ausiliari di pg (due venditori di scarpe assurti al grado di esperti)”. Ma soprattutto si parla di assenza di motivazioni per l’esigenza cautelare. In un passaggio riservato al pm si parla di capovolgimento dei “principi costituzionali sui quali si fonda lo stato di diritto”. In quest’ultimo caso si focalizza l’attenzione sul rinvio a giudizio di Perna per il fallimento della Pantrem, chiusosi con l’assoluzione in dibattimento: “Il Pm valorizza negativamente l’assoluzione dibattimentale, quasi fosse un minus rispetto al rinvio a giudizio della Procura di Isernia in un totale sovvertimento dell’ordine naturale delle cose”.
Al gip di Isernia, invece, il Riesame dice di aver “disatteso l’insegnamento della Supera Corte”. È scritto a pagina dodici dell’ordinanza, quando si legge: “La motivazione sin qui insufficiente diviene inesistente nell’unico punto che il Gip avrebbe dovuto motivare, ovvero la sussistenza dell’esigenza cautelare nonostante il tempo trascorso dall’ultimo reato che risale al 2008 “. Detto in parole povere: non è ipotizzabile un inquinamento delle prove, come ha sostenuto sin dall’inizio l’avvocato Franco. Né si può parlare di reiterazione del reato: Perna ha smesso di fare l’imprenditore da quando la It Holding è stata affidata ai commissari invitati dall’allora ministro Scajola (2009). Lo fa capire anche il Riesame: quando il Gip dice che Perna è socio di alcune società gestite dalle figlie, “la difesa ha dimostrato che Perna è socio accomandatario di due società inattive”. Né sono ritenute consistenti, in tal senso, le intercettazioni: “Non dimostrano alcunché, se non qualche intervento di Perna in qualità di genitore che peraltro non risulta essere stato recepito dalle figlie. Il tenore delle conversazioni e la dimensione delle società non possono di per sé sole giustificare l’adozione della estrema ratio”.
Insomma: stando alle motivazioni del tribunale della Libertà, a Isernia sono stati commessi diversi errori. Forse il passaggio più duro dell’ordinanza è questo: “È opportuno confutare i luoghi comuni utilizzati dal Gip per applicare a un incensurato il carcere. La pervicacia di Perna, consistita nel commettere reati in un arco temporale compreso tra il 1997 ed il 2008 per una serie di reati perseguibili d’ufficio, induce il Tribunale a chiedersi dove erano gli inquirenti quando Perna, secondo l’affermazione del Gip d’Isernia, delinqueva attraverso una protrazione della condotta in un arco temporale di anni, e commetteva, evidentemente indisturbato, una serie di reati, peraltro procedibili d’ufficio”. Per la difesa dell’imprenditore, la decisione dei giudici di Campobasso rappresenta senz’altro un altro importante punto a favore: “In quasi venti anni di carriera non ho mai visto una decisione di questo tenore nei confronti di chi ha chiesto e di chi ha emesso la misura cautelare”, ha commentato l’avvocato Franco. Ma il legale del foro di Roma sa che la battaglia è appena all’inizio. La “cancellazione” del provvedimento cautelare, infatti, non azzera automaticamente le ipotesi di reato su cui si fonda l’inchiesta (bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale). Tra l’altro non è affatto escluso che il procuratore capo di Isernia presenti ricorso in Cassazione contro l’annullamento della misura coercitiva. Paolo Albano, all’indomani della scarcerazione di Perna, lo ha lasciato intendere. Ha inoltre ribadito la solidità dell’impianto accusatorio. Ma prima di rivolgersi alla Suprema corte – ha precisato Albano – vuole leggere le motivazioni del Riesame. La decisione non dovrebbe tardare ad arrivare.