Italia vs Spagna, la fine di un percorso ciclico, o forse no

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Italia vs Spagna, la fine di un percorso ciclico, o forse no

01 Luglio 2012

"Afflitto da un complesso di parità: non si sente inferiore a nessuno" (Ennio Flaiano). Più gioca e cresce, più vince e si dà forza: è una nazionale da film già visto nell’82 e nel 2006, con la passione che riscoppia e le piazze nel delirio, i tedesconi riasfaltati e i "Ciao Merkel" ai neon sugli autobus. E però sempre e solo se vinciamo. 

"La vita si complica quando ami una donna e adori 11 uomini", come nel film Febbre a 90′ del 1997. Ma se gli undici sono azzurri ce li ricordiamo solo a mondiali e europei. Il disinteresse per la nazionale e lo strapotere dei club, gli stage che non si fanno e le ironie sulla convocazione del figlio nello staff tecnico. Poteva mancarci l’ombra della polemica proprio sul finale? Proprio no. "In Germania ci sono 17 centri federali. Da noi solo uno" attacca Prandelli, e già fa intendere che dopo il partitone di stasera non sa se resterà. "Diventiamo tifosi in determinate circostanze, tutti paladini. Poi a settembre di nuovo il silenzio". Finiamo come abbiamo cominciato, con uno Spagna-Italia e uno scudo anti-spread in più, Mario Monti-Rajoy-Hollande a tridenteggiare su una dismessa Merkel, e tutta la nostra nazione pronta, e quando mai, a salire flaianamente sul carro dei vincitori. Con le facce sorridenti, la Borsa a +6,59 e lo spread giù a 409. Pallonate sulla crisi.

Meno toreri, più torelli: ancora con la Spagna, ancora il tiqui-taqua. Ma stavolta là davanti ce n’é uno che in questi giorni ne ha fatti salire molti, di nostri, sul carro dei vincitori… "Non esistono italiani negri", gli gridavano, e ora tutti pronti a osannare. "Noi uomini non scegliamo il nostro luogo di nascita", dice Vicente Del Bosque. Noblesse oblige, pure marchese con titolo ereditario, solo lui e Lippi a vincere Intercontinentale e Mondiale, gli manca solo l’Europeo… Che finiamo come abbiamo cominciato, ma stavolta è un’Italia-Spagna non solo per restare nell’Euro, ma per rivincerlo, l’Euro. L’unica volta se la ricordano dai sessantenni in sù, in casa, 2-0 alla Jugoslavia, Gigi Riva e Anastasi, e da allora niente più. L’urlo strozzato della finale del 2000 e i francesi che ci scherzano: "Come lo rificchi un tappo di spumante dopo che l’hai stappato? Chiedilo a un italiano". Le bottiglie pronte e Wiltord al 90°. E allora piedi ben piantati sulle nuvole, Cassano e Balotelli…

Che se Herrera in un’intervista con Moravia diceva che il calcio serviva a distrarre i giovani dalla revoluciòn, almeno stasera alla crisi non vuol pensarci nessuno. "Il calcio è l’ultima espressione sacra del nostro tempo. E’ rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. E’ lo spettacolo che ha sostituito il teatro. Il cinema non ha potuto sostituirlo, il calcio sì. Perché il teatro è un rapporto tra un pubblico in carne e ossa e personaggi in carne e ossa che agiscono sul palcoscenico.

Mentre il cinema è un rapporto fra una platea in carne e ossa e uno schermo, delle ombre. Invece il calcio è di nuovo uno spettacolo in cui un mondo reale, di carne, quello degli spalti e dello stadio, si misura con dei protagonisti reali, gli atleti in campo, che si muovono e si comportano secondo un rituale preciso. Perciò considero il calcio l’unico grande rito rimasto al nostro tempo" (Pier Paolo Pasolini). Buona finale.