Italiani più poveri e giovani più precari, ecco l’eredità della sinistra al futuro governo
09 Maggio 2018
Aumentano le persone in condizioni di povertà assoluta così come le famiglie in cui tutti i membri sono in cerca di un’occupazione e tra i giovani aumenta il lavoro precario. È questa la sintesi, in verità assai poco rassicurante, del rapporto annuale della situazione del Paese compilato dall’Istat e presentato dal presidente dell’Istituto nazionale di statistica, Giorgio Alleva.
Secondo quanto spiegato da Alleva in Italia cinque milioni di persone sono attualmente in povertà assoluta, l’8,1% della popolazione residente (il doppio rispetto al 2008). L’istat definisce “linea di povertà assoluta” il “valore monetario di un paniere di beni e servizi indispensabili affinché una famiglia di data ampiezza possa raggiungere un livello di vita socialmente accettabile nel Paese”. Viene calcolato per ciascuna ampiezza familiare aggregando le componenti alimentare, per l’abitazione e residuale. Insomma, vivere in povertà assoluta significa che le famiglie faticano a pagare le rette degli asili o delle mense scolastiche, non hanno la possibilità di vestire e nutrire adeguatamente i propri figli, milioni di genitori non hanno soldi per pagare le bollette o l’affitto di casa e non riescono ad assicurare cure appropriate a sé stessi e ai propri bambini.
Mentre “la ripresa dell’inflazione nel 2017 spiega circa la metà (tre decimi di punto percentuale) dell’incremento dell’incidenza della povertà assoluta”, comunica l’Istat, la restante parte “deriva dal peggioramento della capacità di spesa di molte famiglie che sono scese sotto la soglia di povertà”. Non si parla dunque di un problema di una sacca di povertà cronica, ma di famiglie che hanno visto calare drammaticamente la propria capacità di spesa e sono andate ad ingrassare le fila dei “nuovi poveri”.
Anche il trend della disoccupazione è raddoppiato nell’ultimo decennio. In oltre un milione di famiglie, afferma l’Istat, tutti i componenti in età lavorativa sono in cerca di occupazione. E, se è vero che nel 2017 i giovani tra i 15 e i 34 anni occupati sono aumentati dello 0,9% rispetto all’anno precedente (+45mila, +1,0% gli uomini e +0,7% le donne), tuttavia questa occupazione “si caratterizza sempre di più per un’elevata incidenza di lavoratori a termine, che costituiscono circa un terzo dei lavoratori alle dipendenze e il 28,2% del totale dell’occupazione giovanile”. Rispetto al 2008, l’incidenza del lavoro a termine per i giovani “è aumentata di nove punti percentuali, a fronte di un aumento più contenuto sul totale 10 dell’occupazione (+1,9 punti)”.
Per quanto riguarda il futuro demografico del Paese, invece, nel report sul futuro demografico da qui al 2065, l’Istat prevede la diminuzione degli abitanti in Italia, che passeranno dagli attuali 60, 6 a 54,1 milioni, la crescita della vita media e lo spopolamento del Sud. L’aspettativa di vita dovrebbe crescere di oltre cinque anni, attestandosi a 86,1 anni per gli uomini e a 90,2 anni per le donne, con un’età media che salirà da 45 a 50 anni. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, il numero dei residenti dovrebbe scendere al 29% rispetto all’attuale 34% con il Centro-nord chiamato ad accogliere dunque il 71% degli abitanti contro il 66% di oggi.
Il quadro che ne esce è quello di un’Italia con meno abitanti, più anziani e più poveri. La fotografia di un paese in cui la spesa sanitaria e assistenziale è destinata a crescere (attualmente gli italiani pagano di tasca propria il 25% della spesa sanitaria contro il 40,7% del Portogallo e circa il 16% della Germania, della Repubblica Ceca e della Danimarca), ma il reddito dei suoi cittadini e le entrate dello Stato, sembrano destinate a diminuire. E il futuro sembra diventare sempre più buio.