Jimmy Carter e quella strana missione in Corea del Nord

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Jimmy Carter e quella strana missione in Corea del Nord

27 Agosto 2010

Il “caro leader”, Kim Jong-il, non tradisce mai le attese. Il presidente-padrone della Corea del Nord, difatti, in queste ore sta affrontando un viaggio nella vicina Repubblica Popolare Cinese ma non è chiaro se per preparare la sua successione, evitare uno scomodo confronto con l’ex presidente Usa Jimmy Carter, o per intavolare dei colloqui diplomatici indiretti proprio con gli Stati Uniti.

Il treno nordcoreano con a bordo Kim avrebbe attraversato il confine con la Cina intorno alla mezzanotte di mercoledì, almeno a sentire un funzionario dell’ufficio presidenziale di Seul citato dall’agenzia Yonhap. Le certezze però finiscono qui; lo stesso funzionario ha rivelato che la tappa finale potrebbe non essere Pechino visto che di solito il treno segue la tratta nordoccidentale. Ma la rotta inconsueta presa dal convoglio potrebbe anche essere la conseguenza delle inondazioni causate dalle piogge torrenziali degli ultimi giorni. E’ solo un’altra delle supposizioni che circondano la visita.

Secondo fonti ufficiali del governo sudcoreano, Kim Jong-il sarebbe accompagnato nel suo viaggio dal terzogenito Kim Jong-un, il delfino scelto per la successione da papà Kim, rafforzando l’idea di una successione a breve al vertice del regime. L’annuncio potrebbe essere dato già alla riunione del Partito dei Lavoratori prevista per settembre. Ma anche in questo caso circolano dubbi e incertezze: il problema della successione era già stato sollevato a maggio, quando ci fu un viaggio ufficiale di Stato in Cina, quindi non si capisce perché, appena due mesi dopo, Kim abbia sentito il bisogno di organizzare un trasferimento semiclandestino per riconfermare la questione. 

A complicare le cose, l’arrivo in Corea del Nord dell’ex presidente americano Jimmy Carter. Quest’ultimo non rappresenta ufficialmente gli Stati Uniti, la sua è piuttosto una missione "diplomatica" privata e utile ad una mediazione che ha portato al rilascio del cittadino americano Aijalon Mahli Gomes, condannato a 8 anni di lavori forzati per essere entrato illegalmente nel Paese. Carter, accompagnato dalla moglie e dal presidente del Carter Center John Hardman, è stato accolto all’aeroporto di Pyongyang dal delegato per il nucleare Kim Kye-gwan. Ed è proprio su questa accoglienza formale che sono germogliate nuove ipotesi.

Da una parte risulta perlomeno ambigua la partenza del Caro Leader in concomitanza con l’arrivo di un personaggio del calibro di Carter: Kim potrebbe essersi assentato apposta, per evitare di trovarsi nella scomoda situazione di rifiutare il trasferimento del prigioniero americano, trasferimento che in ogni caso si è fatto per non indispettire ulteriormente gli Usa. Dall’altra è strano che a ricevere Carter sia stato Kim Kye-gwan, l’incaricato del Governo per il programma nucleare. Secondo il “Christian Science Monitor”, la Corea del Nord avrebbe potuto utilizzare proprio la visita di Carter per negoziare ‘a distanza’ un nuovo round di colloqui con il "gruppo dei 6" sulla denuclearizzazione della penisola coreana, in fase di stallo da dicembre 2008. Sembra sia andata proprio così.

Secondo l’agenzia di stampoa ufficiale Kcna Carter ha ottenuto la dichiarazione da parte dei nordcoreani della disponibilità a riprendere il ‘dialogo’. Sempre secondo l’agenzia ufficiale nordcoreana, nell’incontro con l’ex presidente americano, il numero due del regime, Kim Yong Nam, ha espresso "il desiderio del governo nordcoreano per la denuclearizzazione della penisola coreana e la ripresa del dialogo a sei".

Non potendo dialogare ufficialmente con Carter, dato il carattere privato della missione dell’ex presidente, la leadership nordcoreana ha quindi dato questo compito a un delegato del governo di tutto rispetto, mentre Kim si eclissava in Cina per non dare nell’occhio. Il vantaggio, per i nordcoreani, starebbe tutto nell’interlocutore: Carter appare meno intransigente di Obama e della Clinton.

Carter stesso dovrebbe fare tesoro del recente passato. Nel 2009 una missione speciale di Bill Clinton in Corea del Nord portò alla liberazione di due giornaliste arrestate da Pyongyang. Anche allora ci furono molte speculazioni da parte dei media su come l’incontro fosse servito a ridurre le tensioni tra i due stati e magari a gettare le basi per un accordo sul nucleare, ma allora (come oggi?) poi si scoprì che gli abboccamenti diplomatici avevano avuto uno scarso effetto sul comportamento della Corea del Nord. D’altra parte anche gli Usa, che sembrano volersi affidare ad un approccio indiretto per missioni di questo tipo, alla fine tengono in poco conto gli esiti dei colloqui, almeno pubblicamente. Intanto il Caro Leader perpetua il suo regime, assentandosi al momento giusto e brigando quel tanto che serve per restare al timone. Vedremo con quali risultati.