Jobs Act: in arrivo un nuovo “referenzum”
15 Dicembre 2016
I referendum, che sembravano ormai materia morta dopo tanti flop, e dopo l’uso e l’abuso che ne è stato fatto, sono tornati in auge. Il sì o il no popolare alle leggi trionfalmente varate dal governo Renzi è diventato l’unico vero rischio per l’ex premier, che teme la minaccia di un altro terribile schiaffone sul jobs act. Su questa minaccia ruota tutto il teatrino renziano della politica, ma anche la dialettica interna nel Pd, il congresso, la data delle elezioni, il fantasma di un partito di Renzi, che secondo i sondaggi, prenderebbe il 20% circa, lasciando agli altri le briciole.
Il ministro Poletti, con la sua simpatica tendenza alle gaffe, si è lasciato scappare che è necessario andare alle elezioni prima dell’eventuale voto sul jobs act: “Se si vota prima del referendum il problema non si pone”. Il ragionamento, semplicissimo è il seguente: se il Pd prendesse una batosta elettorale, la spinosa questione del referendum passerebbe a chi vince. Se invece incassa una vittoria, la portata distruttiva del referendum sarebbe depotenziata, e si avrebbe anche tutto il tempo di fare qualche ritocchino alla legge per mandare definitivamente a monte la consultazione popolare. La beata innocenza di Poletti ha scatenato subito reazioni interne e anche istituzionali; oggi anche la Boldrini insorge contro l’idea di andare alle urne per evitare che i cittadini si esprimano sui quesiti referendari.
Il punto scottante è anche un altro: il referendum sul lavoro spacca ancora una volta la sinistra, riaccende il conflitto con i sindacati, isola ulteriormente Renzi, e lo costringe ad appoggiarsi a destra (benché Brunetta abbia già anticipato che lui comunque voterebbe contro Renzi). Altro che progetti di trovare appoggi a sinistra, vedi le avances nei confronti di Pisapia e i tentativi di recupero dello smarrito Cuperlo. Renzi si troverebbe di nuovo solo nel mirino degli elettori, e la débacle sarebbe, questa volta, inesorabile per i suoi destini politici. Quindi, votare presto, votare subito, staccare la spina a Gentiloni nel giro di pochi mesi, checché ne pensi il presidente Mattarella.
C’è però un’altra ipotesi: cominciare da adesso un percorso di smarcamento, mettere in cantiere immediatamente una correzione della legge, almeno sui voucher, di cui obiettivamente è stato fatto un uso smodato e scorretto. Il tema è stato toccato ieri da Cesare Damiano, e oggi, autorevolmente, dal ministro Maurizio Martina: “Ci sono questioni legate al grande tema del lavoro, come i voucher, su cui è utile che il governo ragioni di come innovare, per tutelare meglio i lavoratori”. Un’arma a doppio taglio, per il segretario del Pd, perché se è bene comunque iniziare ad attutire l’odio popolare verso il jobs act, dall’altra riformare la riforma vuol dire sconfessare Renzi e dare fiato – e tempo – al governo Gentiloni. E dire che i referendum sembravano ormai uno strumento finito.