Juno, una lezione di vero amore per gli adolescenti di tutte le età
08 Aprile 2008
di Carlo Meroni
Vista l’enfasi con la quale era stato preannunciato e atteso, già dal
suo primo weekend di programmazione mi sono recato ben volentieri al cinema per
gustarmi la proiezione di “Juno”. Il titolo deriva dal nome di una ragazzina sedicenne
che vive in una città dell’anonimo mid-west americano. La vita scorre normale,
trascinata da quella piatta noia che avvolge la protagonista e le sue amiche.
La scuola è un ostico e mal sopportato dovere, il giro a zonzo per il centro
commerciale è la routine e le uniche emozioni possono venire dagli idoli della
musica pop/rock o dalle prime occhiate maliziose rivolte agli esponenti del
sesso opposto.
E proprio in un noioso pomeriggio, Juno decide di trovare un passatempo
finalmente alternativo: diventare “sessualmente attiva” (usando il linguaggio
volutamente sarcastico del film) assieme a Bleeker, coetaneo compagno di
classe, altrettanto vergine, ma molto più timido e impacciato della
protagonista. Juno resta incinta, e subito il suo pensiero corre ad uno dei
centri di “aiuto alla donna”: l’aiuto, ovviamente, è ad abortire. Mentre si
reca all’appuntamento con la prevista interruzione di gravidanza, Juno incontra
un’amica che fa propaganda per un centro di aiuto alla vita, e che la mette al
corrente di un fatto che la colpisce parecchio: “Sappi che il tuo bambino ha già le unghie!”. Una volta entrata
nella sala d’aspetto, e dopo aver ricevuto un preservativo al lampone in
omaggio, Juno è negativamente colpita dall’indifferenza delle altre donne in
attesa di abortire, assenti e intente a fare di tutto (limarsi le unghie,
grattarsi, sfogliare rotocalchi ingialliti) tranne che a riflettere sull’atto
che stanno per compiere. Infine, il nauseante odore “come di sala d’aspetto del dentista”, convince Juno ad abbandonare
quel centro per aborti: questa volta il suo diritto di “choice” si tramuta
assolutamente in “pro life”.
Una volta compiuto l’arduo passo dell’informare il padre e la sua
compagna dell’accaduto, e dopo essersi meravigliata dell’aiuto e
dell’inaspettata comprensione che questi dimostrano verso di lei, Juno deve
affrontare però la cruciale questione del destino del nascituro. La ragazzina,
sveglia e spigliata, con una lingua affilata che ricorda una moderna versione
della Lucy di “Peanuts”, sa bene che a sedici anni quel bimbo non potrà fare
altro che sconvolgerle la vita. E così assieme all’amica del cuore Leah
escogita un piano che non è che la moderna versione delle antiche “ruote del
convento”: una volta nato, il figlio sarà dato in adozione ad una coppia,
meglio però se scelta dalle due ragazze. Sfogliando un giornale si imbattono in
una coppia senza figli e col disperato desiderio di adottarne uno, visto che
non possono averne di propri. Juno decide che quella è la coppia perfetta per
il bimbo che porta nel grembo: trentacinquenni, belli entrambi, ricchi,
eleganti, colti, che si amano, con un’ottima posizione sociale ed una
abitazione da favola. Si reca col padre nella loro elegante villa e davanti
alla coppia e al loro avvocato stipulano così il “contratto” per l’adozione
(dando vita ad una delle scene più divertenti del film). Ma come sempre nella
vita, non va tutto come da previsioni. Non dirò oltre, ovviamente, ma vi
consiglio questa pellicola; anche se, a mio modesto parere, il regista (forse
volutamente) lascia in sospeso alcune questioni o valutazioni in merito a
qualche co-protagonista.
Il film merita tutto il prezzo del biglietto: ci si diverte, ci si
commuove, si ride, si riflette sia sugli adolescenti di oggi sia su quelli di
ieri che oggi sono più anziani all’anagrafe ma in realtà ancora parecchio
acerbi.
Juno è la vera protagonista del film, attorno alla quale ruotano le
storie di tutti gli altri protagonisti. La ragazzina dimostra di possedere un
coraggio e un’intelligenza insolita rispetto ai coetanei (e non solo rispetto a
questi), affrontando sempre a testa alta pregiudizi, situazioni negative e
normali dubbi esistenziali per la sua età. Dietro un’apparente scorza dura ed
un’irriverenza da bulletta, si nascondono un cuore tenero ed una spiccata
umanità. Schietta, si butta con determinazione dietro le spalle tutti i dubbi
che di volta in volta la vita le pone dinnanzi. Passano i mesi, e così come
questi cambiano il suo corpo cambiano anche la sua mentalità, portandola ad
acquisire una maturità decisiva per le sue scelte e per le relazioni che
ruotano attorno a lei.
Molti sono i messaggi che questo film ci propone. Analizzandoli in
ordine cronologico di apparizione, innanzitutto andrebbe fatta una riflessione
sul modo in cui gli adolescenti di oggi (spesso all’oscuro delle loro ottime
famiglie che li ritengono ipocritamente dei fiori all’occhiello inattaccabili
da questo tipo di problemi…) hanno i primi approcci con la sessualità.
Squallide lezioni di educazione sessuale, imperniate sulle istruzioni per infilare
un preservativo su una banana tolgono inevitabilmente spazio a quello che
invece dovrebbe essere il messaggio di sorprendente bellezza e unicità che
andrebbe insegnato loro. Non si tratta
di spiegare un atto fisicamente meccanico o un semplice scambio chimico di
ormoni, ma di far concepire ai ragazzi l’inarrivabile bellezza del sesso:
quell’importantissima “ciliegia” che completa in modo divinamente eccezionale
la già gustosa “torta” di un amore verso una persona che ci ama così per quel
che siamo e per la quale saremmo pronti non solo a cambiare comunque i nostri
difetti, ma a dare la vita stessa. Invece, in balia dell’odierno “politically
correct”, il sesso risulta agli occhi dei ragazzi un’incombenza da espletare al
più presto per non sentirsi “sfigati” o declassati in una società che mette la
competizione (anche in questo ambito) al primo posto.
Inevitabile poi, e non solo per i seguaci di Giuliano Ferrara,
soffermarsi sulla scelta della ragazzina di non abortire: proprio lei che, data
l’età e la particolare situazione, ne avrebbe avuto diritto molto più di tante
trentenni o quarantenni, capisce l’innaturalità di una scelta omicida e
abbraccia l’ipotesi opposta.
Chiude tutte le porte che la società e il pensiero comune le
spalancavano verso un egoismo mascherato da ovvia e ragionevole soluzione, e
pensando solo con la sua giovane ma indipendente testa vira verso la scelta d’amore
e verso una soluzione di fiducia nell’avvenire. Un’opzione per la vita che
spalanca le porte a un avvenire che potrebbe essere positivo non solo per lei
ma anche per il bimbo (cresciuto da una madre vera e non bambina) e per la
madre adottiva così alla ricerca di quella maternità che la natura le ha
impedito.
Ed ecco un altro punto focale del film: l’alleanza fra donne. Juno,
l’amica, la matrigna, la madre adottiva: come antichi moschettieri, tutte per
il bimbo e il bimbo davanti a tutto per tutte. Una complicità positiva,
protettiva e costruttiva; non meschina, non perfida, non invidiosa. Una
complicità che seppur rara più dell’oro, può rendere le donne capaci di una
potenzialità che spesso nemmeno loro sanno di avere. In contrapposizione, la
pellicola ci mostra degli uomini deboli, ambigui, incapaci di crescere e
maturare fino in fondo; ma che proprio nell’incontro con l’amore (quello vero)
di una donna (di quelle vere) trovano la loro unica possibilità di autentica
redenzione ed espressione delle loro vere capacità e potenzialità, di cui la
donna ha tanto bisogno in virtù della nostra natura sessuale differente e
complementare. Ed è esattamente nella vera realizzazione di questa
complementarità che si può trovare la soluzione del dubbio più grande e
angoscioso di Juno, adolescente figlia di divorziati e alle prese con
quotidiane situazioni di coppie che si rompono: “E’ mai possibile che due persone si amino per sempre?”.
Un ottimo film, davvero. Un film bello perché parla della cosa più
bella che c’è: l’amore, quello vero.