Kabul, i Talebani colpiscono l’Onu nell’ottobre nero della Coalizione
28 Ottobre 2009
La sede delle Nazioni Unite a Kabul è finita nel mirino dei Talebani a pochi giorni dal ballottaggio per le presidenziali tra il presidente uscente, Hamid Karzai, e il rivale Abdullah Abdullah: 6 impiegati dell’Onu sono stati uccisi in un attentato contro una foresteria, terminato alle 8.30 locali (le 5.00 del mattino ora italiana). Tra le vittime anche 2 guardie della sicurezza, un civile afgano e 3 assalitori. Altri 9 dipendenti dell’organizzazione internazionale sono rimasti feriti, mentre le forze di sicurezza, che sono entrate nell’edificio, stanno cercando una donna che mancherebbe ancora all’appello.
Secondo il ministero dell’interno afgano, sarebbero 3 i kamikaze coinvolti nell’attacco e dilaniati dall’esplosione dei corpetti esplosivi che indossavano prima di farsi saltare in aria. I combattimenti fra gli assalitori e le forze di sicurezza all’interno della sede dell’Onu sono durati ore. Abdul Ghaim, un poliziotto presente sulla scena, ha detto a Reuters: "Pensiamo che i militanti siano pakistani". Sempre secondo il ministero, i kamikaze indossavano uniformi da poliziotti. Si è trattato dunque di un attacco in grande stile da parte dei Talebani: alcuni dei guerriglieri, come detto, indossavano giubbotti imbottiti di esplosivo, altri erano muniti di kalashnikov e armi automatiche.
Poco dopo l’attacco, in un luogo non troppo distante, tre razzi sono stati lanciati contro un albergo di lusso della capitale afgana. Dopo la prima esplosione a pochi metri di distanza dalla struttura, che ha provocato l’immediata evacuazione di tutti gli ospiti dell’albergo (almeno un centinaio) portati al sicuro in un bunker, altri due razzi sono caduti nei giardini dell’Hotel Serena senza fare vittime (l’albergo era già stato teatro di un attacco nel gennaio del 2008, allora morirono 6 persone). Tutta l’area intorno all’edificio è stata bloccata dalla polizia e tutte le strade che portano ai palazzi presidenziali sono state chiuse. Altri razzi, dice la polizia, sono stati sparati anche contro una costruzione non lontana dal palazzo presidenziale.
I Talebani hanno rivendicato l’attentato con una telefonata all’Associated Press. Tre giorni fa i miliziani avevano diffuso un comunicato minacciando tutti coloro che sono impegnati nell’organizzazione delle elezioni per il ballottaggio del 7 novembre. Il portavoce talebano Mujahid ha annunciato: "Questo è solo il nostro primo attacco". Ma le bombe di oggi non dissuaderanno le Nazioni Unite dal compiere la propria missione in Afghanistan, come ha dichiarato fermamente il capo della missione Onu nel Paese, Kai Eide. Gli attentati sono arrivati, tra l’altro, proprio nel momento in cui il presidente Usa Barack Obama sta ponderando l’invio di nuove truppe in Afghanistan per combattere i Talebani (la decisione definitiva dovrebbe arrivare subito dopo i risultati del ballottaggio).
Sulla base di verifiche compiute con l’ambasciata italiana a Kabul, l’unità di crisi della Farnesina fa sapere che nessun italiano è rimasto coinvolto nell’attacco terroristico. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha condannato con fermezza l’attentato. Esprimendo il più sentito cordoglio alle famiglie delle vittime innocenti, Frattini ha aggiunto che "la viltà dei terroristi non riuscirà a fermare il processo democratico in atto, fortemente voluto dal popolo afgano e sostenuto in modo deciso dalla comunità internazionale".
Gli sforzi fatti per la stabilizzazione dell’Afghanistan sono stati terribilmente complicati dalle tensioni successive alle elezioni dello scorso agosto, con la scoperta di numerosi brogli, che hanno favorito il presidente uscente Karzai, portando al ballottaggio. E proprio in vista della seconda tornata elettorale gli episodi di violenza sono sensibilmente aumentati. Ieri sono morti 8 soldati americani, notizia confermata dalla Nato, nel mese peggiore dal punto di vista delle vittime dall’inizio della guerra. Le vittime di ieri portano a 55 il totale del numero di soldati americani uccisi in Afghanistan nel mese di ottobre.
A fare strage dei soldati Usa sono soprattutto le IEDs (Improvised Explosive Devices), le bombe fatte a mano responsabili del 70 per cento e oltre del numero di perdite inflitte agli americani e alle truppe della Coalizione, e che stanno acquistando "una influenza strategica" nel conflitto – come ha spiegato il Generale Thomas Metz da Washington. Le truppe americane rappresentano i due terzi dei 100.000 uomini della coalizione, ma Obama sta ancora valutando la proposta di inviare altri 40.000 soldati, o anche un numero minore.
Intanto il New York Times ha scritto che il fratello del presidente Hamid Karzai, sospettato di essere al centro del traffico dell’oppio, starebbe ricevendo costantemente finanziamenti dalla Cia. Ahmed Wali Karzai ha smentito questo rapporto, mentre la Cia non ha né confermato né smentito i pagamenti. "Un’intelligence degna di questo nome non prende nemmeno in considerazione questo genere di accuse", ha detto un portavoce della Central Intelligence Agency.
La giornata continua a macchiarsi di sangue anche in Pakistan. Un’autobomba è esplosa nei pressi di un affollato mercato a Peshawar, seminando morte e distruzione. Secondo la polizia ci sono oltre 57 vittime e 170 feriti. La violenta esplosione è avvenuta poche ore dopo l’arrivo nella capitale Islamabad del segretario di Stato Usa, Hillary Clinton per tre giorni di colloqui con le autorità locali. Sul luogo dell’esplosione è scoppiato un incendio, che ha fatto innalzare una nube di fumo nero nel cielo. Peshawar sorge al confine con le zone tribali divenute roccaforti dei talebani e dei combattenti legati alla rete terroristica di al Qaida.
La bomba è esplosa nell’affollato mercato di Peepal Mandi, nella parte vecchia della città. Secondo fonti pakistane, all’ospedale continuano ad arrivare corpi, soprattutto di donne. I canali pachistani hanno subito diffuso le immagini della strage, con numerosi negozi in fiamme e veicoli distrutti. Il timore è che ci possano essere altre vittime sotto le macerie. Il Pakistan vive una recrudescenza di violenza in corrispondenza dell’operazione militare, via terra e aria, che l’esercito sta compiendo alla frontiera con l’Afghanistan, nel Waziristan del Sud e sulle rotte che mettono in comunicazione l’area di confine con il resto del Pakistan e la vicina regione tribale del Waziristan del nord, considerate bastioni talebani.