
Kaliningrad ha voglia di Europa ma agli Iskander russi non potrà dire no

06 Dicembre 2008
In questi giorni a Kaliningrad qualcuno fa battute d’umorismo: grazie ai missili Iskander aumenterà il turismo nel paese. Immergendosi fino in fondo nel suo humour nero, Vladimir N. Abramov – scienziato e politico – ha proposto che questa sia la nuova attrazione della sua regione: una guarnigione da guerra fredda tramutata in un perno commerciale europeo che può, ancora una volta, trasformarsi in un palcoscenico per i missili puntati verso l’Occidente.
“Attirare i turisti con la prospettiva di vedere un Iskander è davvero un’idea creativa”, ha affermato Abramov. “Specialmente per i polacchi. Quando volerà sopra le loro teste, probabilmente non avranno la possibilità di guardarli con calma. Venite a Kaliningrad! Fate una bella foto in posa vicino al missile che vi ucciderà”.
Dietro tanto sarcasmo si nasconde in realtà una preoccupazione concreta per il futuro di Kaliningrad. Dopo il crollo dell’Unione sovietica, Mosca ha escogitato una serie di piani per questo antico avamposto militare, incastrato sul Mar Baltico tra Lituania e Polonia.
L’ex presidente Boris Yeltsin vedeva Kaliningrad come la Hong Kong russa, una zona di libero scambio per attirare gli investitori stranieri. Il successore di Yeltsin, Vladimir Putin, voleva rendere la piccola enclave sempre più vicina alla Russia, per farne un impianto di potenza nucleare che esportasse energia in Europa. Quando nuove risorse di petrolio e gas cominciarono ad arricchire la Russia, pian piano emersero nuove idee: tra le altre, trasformare la città nel tempio del gioco stile Las-Vegas, con una costellazione di resort di lusso.
L’idea più recente è quella di inizio novembre, quando il presidente Dmitri Medvedev ha dichiarato che la Russia avrebbe disposto a Kaliningrad dei missili a corto raggio Iskander se gli Stati Uniti avessero proseguito con le attrezzature per i missili di difesa nella Repubblica Ceca e in Polonia.
La proposta è stata considerata da più parti come semplice retorica, una carta da giocare nelle trattative con il nuovo presidente americano. Ma in concreto, una simile eventualità segnerebbe il primo riarmo di Kaliningrad contro l’Occidente dalla fine dell’Unione Sovietica, ed un altro duro colpo per un paese da lungo tempo in crisi d’identità: cosa rappresenta Kaliningrad per la Russia? E’ una finestra aperta sull’Europa, oppure è una torretta per colpirla a fuoco?
“La frase ‘roccaforte militare’ è stata gradualmente dimenticata qui”, ha dichiarato Vadim Smirnov, opinionista della Kaliningradskaya Pravda, il primo quotidiano della regione. “L’esperienza ci ha dimostrato che è stato un atteggiamento prematuro”.
L’aspetto stesso di Kaliningrad testimonia il suo particolare status. Dietro l’angolo, appena superati i classici monumenti sovietici, si trovano strade di ciottoli e casette dai tetti rossi costruite prima della seconda guerra mondiale, quando ancora l’enclave era una città tedesca chiamata Königsberg. La politica di libero scambio ha trasformato la città in un enorme centro duty-free, riempita di ristoranti alla moda e di piccole boutique che vendono borse italiane, saponi francesi e lampade polacche.
In realtà, l’oblast di Kaliningrad deve fronteggiare sfide profondamente complicate: soffre della criminalità organizzata, di un forte inquinamento ambientale e di gravi problemi di droga e lacune nella sanità. Ecco perché l’Unione Europea ha da tempo mostrato particolare interesse alla sua situazione, nel tentativo di portare aiuti alla regione. E non solo per altruismo. Quelli di Kaliningrad sono problemi che hanno ovvie conseguenze transfrontaliere. L’Ue ha quindi lanciato diversi progetti per lavorare in stretta cooperazione con la Russia, la Polonia e la Lituania al fine di trovare soluzioni concrete e cogliere ogni opportunità che si potesse presentarsi soprattutto all’indomani dell’ampliamento della comunità europea.
Nel frattempo, i cambiamenti all’interno dell’enclave non sono mancati. Anche gli abitanti – circa un milione – non sono più quelli di una volta. Le loro case si trovano a più di 200 miglia dal confine con la Russia; in molti portano i loro nipotini nei parchi d’acqua polacchi e fanno scorte da Ikea a Gdansk. I più giovani vanno a sciare in Austria o fanno acquisti nell’Europa centrale. Qui pulsa ancora una profonda vena di patriottismo russo, come chiunque si aspetterebbe da una città militare. Ma l’influenza dell’Europa è forte.
Numerosi cittadini dichiarano di sentirsi più vicini a Berlino che a Mosca. Questi legami con l’Europa – con il suo fascino culturale e la sua centralità economica – hanno fatto sì che le reazioni di Kaliningrad all’annuncio di Medvedev sul dispiegamento dei missili fossero variegate.
Tanti gli episodi che aiutano a farsi un’idea: la direttrice dello Zoo di Kaliningrad, ad esempio, lo scorso mese si è ritrovata in una posizione imbarazzante quando ha dovuto scegliere il nome di una giraffa appena nata. Uno dei suggerimenti più gettonati era “Iskander”, ma il problema è stato palese sin da subito. “La giraffa ci è stata consegnata dallo Zoo di Berlino”, ha raccontato la direttrice. “L’animale dunque proviene dall’Occidente. Missili Iskander saranno puntati contro l’Occidente. Ma qui siamo in uno zoo, non siamo in politica”.
Il dispiegamento di missili Iskander è popolare tra i russi, che vedono il piano di difesa missilistico americano come una minaccia diretta al loro confine. Un sondaggio realizzato a fine novembre dalla Public Opinion Fondation di Mosca ha rilevato che il 62% degli intervistati sono a favore del dispiegamento dei missili Iskander qualora vengano costruite le strutture adeguate. Solamente il 13% di loro ha criticato il progetto, con una piccola percentuale (4%) convinta che si tratti di una “intimidazione”.
Lo stesso deciso supporto si riscontra anche a Kaliningrad. Nel 2004, quando la Polonia e la Lituania sono entrate a far parte dell’Unione europea, i nuovi regolamenti su visti e dogana hanno fatto crescere i timori dei cittadini dell’oblast di essere tagliati fuori da una “cortina blu”- dato il colore della bandiera europea. Da allora, le nuove norme li hanno privati di gran parte della libertà di movimento di cui godevano durante gli anni di Yeltsin. E così si sentivano già accerchiati, e la proposta di installare missili di difesa in Polonia – una base americana con 10 missili intercettori – ha risvegliato vecchie passioni. Da più parti si è levata la stessa voce “non siamo noi a dissotterrare l’ascia di guerra”.