Karzai detta le regole del gioco e Obama sta a guardare
15 Marzo 2012
“Siamo pronti ad assumerci tutte le responsabilità in materia di sicurezza. Le parti devono lavorare insieme per completare nel 2013, invece che nel 2014, il processo di transizione in materia di sicurezza dalle truppe internazionali alle forze afghane”. Queste le lapidarie parole del presidente afghano Hamid Karzai al segretario alla difesa Usa Leon Panetta in visita nel paese.
Dichiarazioni queste che seguono un mese di tensioni sul campo: prima il rogo di alcune copie del corano nella base aerea americana di Bagram che ha scatenato un’ondata di incidenti e proteste in tutto il paese centro-asiatico e l’uccisione di due soldati americani; poi la strage di civili perpetrata da un soldato americano a Kandahar che ha innescato una nuova ondata di odio.
E mentre la Casa Bianca tentenna e chiede scusa a ogni pie’ sospinto (il candidato Gop, Newt Gingrich ha per questo definito Obama "the apology President", il presidente che si scusa) per i roghi del corano, per l’uccisione di civili da parte americana, l’exit strategy dell’amministrazione Obama sembra ormai compromessa. Siamo ormai di fronte a una vera e propria escalation da parte talebana, con una recrudescenza degli attacchi contro le forze Nato, psicologicamente smunite dalla certezza del ritiro entro uno o due anni, e un nemico che sa di restare.
Il culmine v’è stato Mercoledì scorso quando il capo del Pentagono, Leon Panetta, ha potuto constatare di persona l’assoluta mancanza di sicurezza, sfuggendo d’un pelo a un attentato suicida al momento dell’atterraggio presso la base militare britannica di Camp Bastion. Nonostante l’Isaf abbia perentoriamente smentito che Panetta e gli altri occupanti dell’aereo abbiano rischiato la propria incolomutà durante l’attacco, un evento del genere testimonia come ogni giorno che passa la situazione peggiori sensibilmente.
Nella giornata di oggi, durante una delle frequenti ormai manifestazioni anti-americane a Qalat – nel Sud del paese – un altro attentato ha avuto luogo: lo scoppio di un ordigno rudimentale sulla strada della provincia meridionale di Uruzgan ha causato almeno 13 vittime civili afghane.
Ciò accade mentre i talebani hanno annunciato oggi unilateralmente lo stop ai colloqui di pace con gli Stati Uniti in Qatar. “E’ per l’altalenante e sempre mutevole posizione della controparte che siamo costretti a sospendere il dialogo. – avrebbe dichiarato il capo negoziatore talebano in Qatar – Questa posizione rimarrà ferma finché non mostreranno la volontà di adempiere alle loro promesse invece di perdere tempo”. Insomma, una dimostrazione di rara forza negoziale e politica. Soli sei mesi fa, la dottrina Petraeus in Afghanistan sembrava aver risolto la situazione, mettendo con le spalle al muro la leadership talebana. Ora lo scenario è esattamente l’opposto, con l’amministrazione americana che rischia di apparire estremamente debole in anno di presidenziali.
Dal canto suo, Karzai invoca il ritiro delle truppe Isaf dall’Afghanistan a partire dall’anno prossimo. Poco importa se il paese versi ancora in uno stato di totale instabilità. I veri obiettivi del presidente afghano, infatti, sono ben altri: mediante la strumentalizzazione delle debolezze americane di queste settimane, sta puntando a ottenerne il ritiro Usa già a partire dal 2013, per poi siglare – una volta sgombrato il campo dalle forze Isaf – un accordo di spartizione del potere politico con i talebani. Un piano temerario e che, in qualche modo, vede anche il governo del Pakistan giocare la propria partita, come abbiamo raccontato su l’Occidentale.
Adesso sta all’amministrazione Obama reagire e riprendere in mano la situazione. Ritirarsi da un paese, è una cosa. Venirne cacciati è un’altra.