Kenyatta, Obama e lo scontro sui diritti gay
27 Luglio 2015
“Questione che neanche si pone”: una risposta fulminante, quella di Kenyatta a Obama, un vero schiaffo in faccia al presidente americano, che ha chiesto diritti per i gay in Kenya, dove, come purtroppo avviene in molti paesi del mondo, i rapporti omosessuali sono puniti con la galera.
Non ci ha fatto una gran figura, Obama. Ha parlato come paladino a livello internazionale dei diritti gay? Proprio no. Infatti si guarda bene dal fare la stessa richiesta a paesi come l’Iran o ad alleati storici come l’Arabia Saudita, dove con gli omosessuali si va ancora più per le spicce, intervenendo direttamente con la pena di morte. Anzi: per sicurezza Obama non chiede mai niente neanche per le donne, o per la libertà religiosa, in Iran o nei paesi arabi alleati: due temi in cui magari sarebbe più facile ottenere qualcosa.
Ma il Presidente americano ha sempre adottato un’altra strategia: non vuole intromettersi in questioni interne, confrontandosi con sensibilità e culture diverse… o forse, molto più concretamente, pensa che gli portino meno voti: la croce è oggettivamente meno trendy della bandiera arcobaleno, e pure il femminismo, ormai, non guadagna consensi liberal quanto il matrimonio omosessuale.
Ma, come abbiamo detto, Obama non intende davvero aprire un confronto sui diritti umani. Se davvero volesse combattere contro le discriminazioni nei confronti dei gay, dovrebbe inserire questo tema nella sua agenda politica sempre, con tutti i governi stranieri, e non solo con quelli che lo accolgono con parate trionfali. E dovrebbe parlare contro tutte le discriminazioni e le oppressioni, per la libertà degli omosessuali, ma anche delle donne, e in primo luogo delle minoranze religiose. Si sa che ormai nel mondo la persecuzione contro i cristiani è diventata massiccia e terribile: le statistiche dicono che muore un cristiano ogni 4 o 5 minuti.
Ma in questo campo Obama non è credibile, perché le sue esternazioni sono rare e poco convinte: contro il rapimento di duecento ragazze da parte dei fondamentalisti islamici di Boko Haram, per esempio, la Casa bianca se l’è cavata con un tweet, che non era nemmeno del presidente ma di sua moglie. Per combattere contro le discriminazioni –tutte le discriminazioni- quella di Obama non è la strada: sta solo continuando una proficua campagna pro domo sua.
Perché allora un intervento a gamba tesa negli affari interni del Kenya? In realtà il presidente parlava ai suoi elettori, agli americani, e di quello che pensano gli africani non ha tenuto conto. La rispostaccia di Kenyatta forse non era prevista in forma così dura, ma era comunque dato per scontato un no.
A noi interessa invece capire quello che trapela dal poco diplomatico rifiuto del presidente kenyota. E’ un rifiuto che rivela il modo in cui “gli altri” vedono il mondo occidentale: paesi ancora ricchi e potenti, ma afflitti da una strana patologia che li indebolisce dall’interno. Paesi che non fanno più figli, che inventano nuove forme di famiglia, che quando parlano di diritti dei gay non intendono la libertà di amarsi, ma il matrimonio con tanto di adozione o di figli reperiti sul mercato internazionale del corpo (compravendita di gameti e affitto di uteri).
Quando si afferma che l’Italia è il fanalino di coda del mondo, sulle unioni gay, si dimentica, infatti, che i matrimoni fra persone dello stesso sesso si celebrano solo in una parte dell’occidente, in un ristretto gruppo di paesi, e che per tutti gli altri, come dice brutalmente Kenyatta “la questione non si pone nemmeno”.