King corteggia la Rowling: Potter non deve finire

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King corteggia la Rowling: Potter non deve finire

King corteggia la Rowling: Potter non deve finire

25 Agosto 2007

Aveva già gridato a gran voce che Harry Potter, come del resto Misery, non doveva morire. Scrive ora che la saga del maghetto di Hogwarts resterà comunque tra le sue Cose preziose. Manca solo che Stephen King si dichiari letteralmente (e letterariamente) abbagliato, dallo Shining che emana J.K. Rowling. E la coppia più letta del mondo formerebbe un team-up che neanche Fruttero & Lucentini, altro che Sergio Rizzo e Gianantonio Stella, figuriamoci Marco Travaglio e Peter Gomez. Ma questo matrimonio romanzesco non s’ha ancora da fare, per il momento. Da Bangor, Maine, più di una vibrante dichiarazione d’amore – firmata dal re del brivido – ha traversato l’Atlantico fino a raggiungere la campagna scozzese, terra d’adozione della scrittrice nativa di Chipping Sodbury, Gloucestershire. Almeno ufficialmente, sulla pubblica piazza mediatica, la corrispondenza continua a risultare unidirezionale. King, L’ultimo cavaliere, abbozza galante. Rowling glissa e si nega, chiusa nella sua Camera dei segreti. Chissà che lei non gli abbia invece risposto privatamente, facendogli recapitare lettere via posta aerea, in busta chiusa dal becco di un gufo viaggiatore. Non lo riterrà mica un babbano qualsiasi, il suo famosissimo ammiratore. Di magia se ne intenderà eccome, lui e i suoi fantasmagorici Incubi e deliri. Giusto un anno fa, alla Radio City Music Hall di New York, le voci dei due si unirono a quella di John Irving, altra celebrità da best seller. L’evento servì alcune cause di beneficenza, nonché lo scopo di una curiosa rilettura incrociata delle rispettive pagine. In quella sede non si contarono i convenevoli e i complimenti, più o meno sinceri e più o meno reciproci, scambiati tra i massimi autori-imprenditori di un business che va ben oltre il ristretto mercato editoriale, di per sé asfittico. Fino a quando, nell’occasione, non ebbe poi a sbottare l’appassionato horror writer, rivolto alla creatrice dell'(ancor) giovane Potter: «No, non voglio che Harry attraversi le cascate di Reichenbach!», scaldò la platea un accademico King, memore della lezione di Sir Arthur Conan Doyle e del suo posticcio Sherlock Holmes post mortem per annegamento, in seguito redivivo a grande richiesta. Elementare, Rowling. Nel tuo settimo e ultimo sigillo potteriano, vedi di non troncare di netto la più elettrizzante delle storie. Guardati bene dall’interrompere (troppo bruscamente) un’emozione: i tuoi fan non te lo perdonerebbero mai. Giusto un anno dopo, l’ultimo numero di «Entertainment Weekly» (17/8) ospita un intervento-saggio su Harry Potter and the Deathly Hallows, per un’analisi dell’intera saga letteraria dal punto di vista del lettore e – perchè no? – da quello dello scrittore. Recensore d’eccezione, neanche a dirlo, il solito Stephen King, qui particolarmente lesto nel cambiarsi d’abito lo spazio di uno stesso articolo, vestendo prima i panni del fan accanito, e subito dopo quelli del critico (poco) militante. Il secondo travestimento davvero non inganna nessuno, tantomeno la buona coscienza del para-letterato molto consapevole. «Sono forse romanzi perfetti», quelli della Rowling?, si domanda retorico il suo collega criticone. «Certo che no», sentenzia sicuro. Spiegando divertito: a Ms. Rowling, nella narrazione, «capita talvolta di finire vittima della sindrome di Robinson Crusoe», quel riflesso condizionante che strumentalizza il narratore, anziché i fatti e i personaggi narrati. In una serie di romanzi collegati l’un l’altro, tutto deve tornare e quadrare e combinarsi alla perfezione. E non solo secondo la funzione interna all’episodio, ma anche in coerenza con la trama generale del racconto a puntate. Niente di più facile, allora, assistere a una riproposizione dell’incidente occorso a Daniel Defoe, che Robinson lo faceva sì girare seminudo per l’isola, “naturalmente” selvaggio. All’occorrenza, però, dotandolo poche righe più sotto di civili tasche da pantaloncino (?), dove riporre – tanto civilmente – gli oggetti assemblati sul posto alla bell’e meglio, di volta in volta. D’altronde, come dire?, era la stessa storia che lo imponeva. La strumentalizzazione del narratore anziché dei fatti e dei personaggi narrati, appunto. Osservata questa nota tecnica e di colore, King il sociologo contestualizza il pieno successo della saga presso un pubblico di lettori bambini, adolescenti e adulti, così vasto da non ammettere banali categorizzazioni di genere («è solo letteratura per ragazzi») o censure di maniera («è solo paralettura, è solo un fenomeno pop-commerciale»). J.K Rowling ha il grande merito di avvicinare all’oggetto libro tantissimi non-lettori, e non solo tra i giovanissimi, altrimenti a totale digiuno in quanto a consumi macro/micro-bibliotici. L’intrattenimento, chiude ogni discorso l’autore de Il miglio verde, avviene per l’incantamento prodotto da una buona storia standardizzata, suggestiva, intricata, fidelizzante. Senza troppe complicazioni intellettualistiche ad appesantirne il contenuto. Oggigiorno il Ministero della Magia della lettura, piaccia o no a certa intelligencia, lo amministra la signora che inventò Harry Potter, scrittrice titolata di pieni poteri di fascinazione. «Che Dio la benedica» per questo autentico prodigio culturale, ringrazia sentito Stephen King.