“Kirlos”, le guerre informatiche si combattono anche su Facebook

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“Kirlos”, le guerre informatiche si combattono anche su Facebook

30 Aprile 2010

Kirlos. Il nome di una nuova bevanda? Un vocabolo straniero? No. Solo il nickname dietro cui si nasconde un hacker russo che ha rubato 1 milione e 500mila account di Facebook, completi di password e login. Il ladro informatico ha quindi messo  in vendita su un forum russo il frutto delle sue scorribande virtuali con prezzi tra i 25 e 45 dollari (a seconda del pacchetto e delle quantità di account contenuti). A quanto pare Kirlos è riuscito a vendere circa 700mila contatti  in poco tempo. Una storia come tante altre, che però ci da lo spunto per spiegare le differenze tra alcuni tipi di attacchi “cyber”, che sfruttano le reti condivise dagli utenti.

Guerre digitali e attacchi informatici non sono sinonimi. Si parla di cyberwar quando un esercito di un paese attacca il sistema informatico di un altro. Per fare degli esempi  si può ricordare la recente vicenda di Google sul suolo cinese o quando gli USA pensarono di congelare la rete bancaria irachena per stanare Saddam Hussein. Di fatto si tratta di un aggiornamento in direzione digitale dei sistemi di combattimento tradizionali; la cyber war è quindi l’estensione di un azione militare in senso stretto.

Viceversa, le netwar sfruttano le reti utilizzate per il file sharing e i social network (come Facebook) e quindi si può capire come interessino la vita quotidiana di ognuno di noi in maniera diretta.  "Netwar" è una espressione coniata nel 1993 da John Arquilla che indica una nuova forma di conflitto, che tiene conto delle strutture sociali che la rete stava e sta esprimendo. La netwar si svolge sulle "reti distribuite": organismi non piramidali, territorialmente dislocati e con sistemi di comunicazioni molteplici e sostituibili. Una sorta di alveare senza un’ape regina.

A favorire la confusione sui due termini appena illustrati ci si mette pure il Presidente venezuelano Hugo Chavez, il quale, dopo aver dichiarato guerra a Twitter – accusandolo di terrorismo perché dà voce a chi si oppone alla rivoluzione bolivarista – ha annunciato che aprirà un suo profilo sul sito di microblogging. Il direttore dell’agenzia di telecomunicazioni del Venezuela, Diosdado Cabello, ha aggiunto che “il comandante aprirà presto un account per lanciare la sua battaglia anche online”. Chavez già in passato aveva denunciato la minaccia dei cyber-ribelli, sollecitando una legge che intervenisse per arginare gli oppositori più accesi; ora vuole contrastarli sul web.

Il problema della Rete, in conclusione, non risiede tanto nella sua architettura quanto nella possibilità di carpire i dati (nostri, di una azienda, di uno stato, eccetera) da parte di terzi. Certamente non è possibile mettere in sicurezza l’intero sistema informatico, per cui ci si deve affidare al buon senso e all’esperienza personale, ben consci che la prudenza rimane sempre un passo avanti ogni forma di coinvolgimento conflittuale.