Kosovo, una storia ancora tutta da scrivere

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Kosovo, una storia ancora tutta da scrivere

03 Aprile 2007

L’ultima decade del mese di marzo è il periodo delle grandi decisioni sul Kosovo. Il 24 marzo 1999 la Nato iniziava la sua campagna aerea contro Belgrado. La pulizia etnica portata avanti da Milosevic a danno della popolazione albanese del Kosovo aveva destato preoccupazioni  forti nella comunità internazionale e l’Alleanza atlantica dopo numerosi insuccessi diplomatici, tra cui Rambouillet e Parigi, decideva di intervenire manu militari nella regione. L’uso della forza da parte della Nato era per la prima volta deciso dal Consiglio atlantico senza la previa autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu (CdS) e veniva da più parti presentato come intervento a scopi umanitari. Della sua legittimità si è molto discusso tra gli esperti di diritto internazionale poiché se da un lato l’intervento mancava della copertura onusiana, dall’altro si cercava di giustificarlo sulla base del c.d. intervento di umanità, istituto tutt’altro che pacifico nel diritto internazionale. L’Italia, con allora Premier Massimo D’Alema, partecipava a pieno titolo alla guerra. Una risoluzione del 10 giugno 1999, la n. 1244, del CdS segnava la fine del conflitto e gettava le basi per la ricostruzione del Kosovo e la definizione del suo status politico. Si costituiva l’Unmik, una missione Onu cui era affidata l’amministrazione del Kosovo, come era accaduto in passato per Timor Est. Alle missioni internazionali presenti in loco venivano conferiti importanti poteri gestionali, ma non la sovranità, che restava all’allora Repubblica Federale di Jugoslavia (oggi Serbia). La questione della sovranità sul Kosovo tuttavia non era chiusa e le posizioni di Pristina e Belgrado, all’indomani del conflitto, erano inconciliabili: Pristina pretendeva l’indipendenza e Belgrado, sconfitta non solo militarmente, era disposta a concedere solo un’ampia autonomia.

Iniziava così il lungo cammino dei negoziati. A distanza di otto anni da quel 24 marzo 1999, che ha cambiato le sorti del Kosovo, è ancora marzo il mese decisivo per il futuro della provincia. Il 26 dello scorso mese, infatti, dopo anni di insuccessi diplomatici e di grosso dispendio di soldi e di energie (il costo annuale dell’amministrazione del Kosovo è stato stimato a 1,3 miliardi di dollari annui), il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha trasmesso al Presidente del CdS, il rapporto di Martti Ahtisaari, inviato speciale Onu per lo status del Kosovo. Ahtisaari parte dalla constatazione dell’impossibilità di giungere all’accordo tra Pristina e Belgrado e propone un Kosovo totalmente indipendente, con i propri simboli, una propria bandiera e un suo inno. Non viene tuttavia trascurata la multietnicità della regione, tanto che alle diverse etnie presenti si garantirebbe l’uso dei propri simboli, purché nel rispetto della legge e delle norme internazionali. Serbo e albanese sarebbero le lingue ufficiali, ma altri idiomi, come il turco e il bosniaco, avrebbero la condizione di idiomi di “uso ufficiale”. In sostanza, si tenta di assicurare una pacifica convivenza interetnica attraverso la promozione dei principi giuridici di uguaglianza e non discriminazione. Per non restare su di un piano teorico, il rapporto prevede anche dei meccanismi tesi a garantire un’equa rappresentanza etnica nelle istituzioni nazionali. Ad esempio, nell’Assemblea legislativa, 20 dei 120 seggi totali dovrebbe essere riservati, per i primi 2 mandati, alle minoranze. Anche nell’ufficio della Presidenza dovrebbe essere garantita una loro rappresentanza, come nella compagine dell’esecutivo. Inoltre, si richiedono maggioranze qualificate per varare leggi importanti, espressamente indicate, in virtù delle incidenze che ne derivano per gli interessi di tutte le etnie.

Il nuovo Stato dovrà garantire il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nelle forme più alte e intense riconosciute e garantite a livello internazionale. Al futuro Stato è richiesta anche la ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il rapporto di Ahtisaari, di 64 pagine, diviso in 12 parti, non è una Costituzione del Kosovo, tuttavia i principi e le disposizioni della prima parte, rubricata “disposizioni costituzionali”, dovranno essere inserite nella Costituzione del futuro Stato del Kosovo. È comunque previsto un periodo transitorio di 120 giorni, dalla data di entrata in vigore delle disposizioni espresse nel rapporto, in cui l’Unmik continuerà a svolgere le sue funzioni. Solo al termine di tale periodo transitorio la Costituzione e le leggi eventualmente adottate per attuare il rapporto esprimeranno piena efficacia.    Sul piano istituzionale il rapporto prevede la separazione dei tre poteri dello Stato. Il legislativo sarà di competenza dell’Assemblea, composta da una camera, l’esecutivo del governo e il giudiziario di giudici indipendenti selezionati per concorso. Prevista anche una Corte costituzionale formata da 9 magistrati, nominati tra giuristi dalle alte qualità morali. Quale giudice delle leggi, la Corte potrà essere adita da 10 parlamentari o dalle entità territoriali locali. Quanto al governo e al suo Premier, nulla si dice circa i poteri loro spettanti. Le disposizioni del rapporto sottolineano solo l’importanza della rappresentanza delle etnie kosovare e la necessità di una fiducia parlamentare. La scelta della forma di governo sarà decisa dalla Costituzione, che dovrà essere votata a maggioranza dei due terzi compreso il voto favorevole dei due terzi dei rappresentati a seggio riservato. A 9 mesi dall’entrata in vigore delle disposizioni del rapporto, inoltre, dovranno essere indette nuove elezioni sia a livello nazionale che locale.

L’unità nazionale sarà incarnata dal Presidente del Kosovo. Sul piano amministrativo, è incentivata la c.d. devolution. In particolare si prevede l’aumento delle competenze municipali a favore delle entità territoriali in cui i serbi del Kosovo siano maggioranza e in materie come la sanità e la pubblica istruzione superiore. Ampia autonomia è riconosciuta sulle questioni finanziarie. Ammesse anche associazioni intermunicipali e cooperazione transfrontaliera con le istituzioni serbe.  Sul piano economico, al Kosovo è richiesta l’economia di mercato. Si prevede l’istituzione di una Banca centrale e ovviamente il conio di una moneta legale. In tema di sicurezza, è prevista la costituzione di Forze Locali di Polizia che dovranno riflettere il carattere multietnico dello Stato. Prevista anche la costituzione di una Forza di sicurezza nazionale di non oltre 2.500 membri attivi. I Kosovo Protection Corps invece saranno smantellati e per un non specificato periodo di tempo sarà comunque garantita una presenza internazionale militare e civile: la presenza militare sarà gestita dalla Nato e quella civile farà capo a un rappresentante designato da un gruppo direttivo internazionale. In sostanza, per assicurare la sicurezza del Kosovo, da una parte continuerebbe a operare la Kfor, fin quando le forze statali non saranno autosufficienti. Dall’altra, una missione europea per la politica di sicurezza e difesa sarà tenuta a perseguire e punire tipologie di reato quali la criminalità organizzata, quella interetnica, i reati finanziari e i crimini di guerra. A essa spetteranno poteri in materia di ordine pubblico. All’esercizio di tali funzioni, sovrintenderebbe il rappresentante internazionale che potrà annullare gli atti o i testi legislativi contrari al rapporto e punire i funzionari responsabili di atti con esso incompatibili. È inoltre previsto il riconoscimento e la protezione della Chiesa Serba ortodossa.

A garantire la supervisione sull’esecuzione del rapporto sarebbe anche la missione Osce, tuttavia la responsabilità per l’attuazione del rapporto sarebbe pur sempre del Kosovo. Una simile disposizione rimarca l’intenzione di fare del Kosovo uno Stato sovrano e indipendente, ma le importanti funzioni assegnate senza alcun termine finale chiaro alle missioni internazionali attualmente presenti in loco, sia militari che civili, la dicono lunga sulla conseguibilità in tempi brevi dell’obiettivo. Per ora il rapporto è solo una proposta che il CdS dovrebbe fare propria con l’adozione di apposita risoluzione. Se sarà una decisione con effetti vincolanti, la Serbia non potrà fare altro che rinunciare ai suoi sogni di gloria sul territorio kosovaro, ma il cammino all’interno del CdS si presenta irto di ostacoli. La Federazione russa è chiaramente contraria all’indipendenza del Kosovo, che potrebbe costituire un precedente insidioso per Mosca, viste le tendenze separatiste presenti in alcune aree della Federazione. La Russia è titolare del diritto di veto e nel tentativo di boicottare una decisione del CdS in tal senso, potrebbe contare sull’appoggio di un altro membro permanente: la Cina. Forse è proprio per scongiurare tale scenario che Ahtisaari rimarca nel rapporto che il Kosovo “is a unique case that demands a unique solution”. Ammesso poi che il CdS sia in grado di superare l’impasse, il cammino verso la reale indipendenza del Kosovo sarebbe ancora tutto in salita. Il ruolo assegnato alle minoranze e i privilegi che nei meccanismi di voto sono loro garantiti, rischia di bloccare ogni piccolo tentativo di emancipazione. Di fatto 20 eletti su 120 potrebbero, se lo volessero, far sì che anni di diplomazia spesi nel tentativo di trovare una soluzione si risolvano in una bolla di sapone. La partita è ancora aperta, ma la grande sconfitta è che a distanza di otto anni dalla conclusione del conflitto, il Kosovo non è ancora in grado di pianificare il futuro proprio e dei popoli che vi abitano.