L’errore: una emergenza eccezionale non si affronta con un decreto normale

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L’errore: una emergenza eccezionale non si affronta con un decreto normale

L’errore: una emergenza eccezionale non si affronta con un decreto normale

20 Marzo 2020

Non è difficile riconoscere che l’emergenza Covid-19 costituisce un momento di novità non prevista e traumatica, che ha scatenato diffuse incertezze, ma che, al contempo, ci ha confermato alcune certezze.

È evidente il senso di spaesamento derivante dal brusco cambiamento imposto a modelli di vita, di relazioni sociali, di organizzazione lavorativa che immaginavamo acquisiti e consolidati. E allo stesso tempo amplifica il disagio la impossibilità di assumere punti fermi in ordine agli elementi decisivi di tale scenario: il momento in cui finirà, le conseguenze drammatiche che avrà causato in termini di vite umane, gli effetti economici di sistema e individuali coinvolti, la stessa riproponibilità in un prossimo futuro di stagioni come questa. Sono tutti interrogativi ai quali è difficile, in questa fase, fornire risposte puntuali, al di là della informe consapevolezza della drammaticità dello scenario che si profila.

Ma accanto a queste ombre sul futuro prossimo, sono emerse alcune certezze di drammatica solidità.

La prima è che ci troviamo di fronte ad un fenomeno nuovo dai molti volti: sanitario, sociale, economico-produttivo. E per tutti questi profili appare un dato acquisito quello della necessità di corrispondenti risposte che devono essere altrettanto non consuete. Spezzare la tentazione alla ripetizione di formule e ricette preparate per tempi ordinari sembra essere la chiave necessaria per affrontare un fenomeno di così sconvolgente straordinarietà.

L’altro dato che, però, emerge in parallelo in questa fase è la preoccupante inadeguatezza strutturale a fronteggiare un fenomeno di queste dimensioni e caratteristiche. Il riferimento corre, in particolare, alla tanto attesa risposta assegnata alle misure di stampo economico messe in campo per fronteggiare la crisi dai molti volti.

Innanzi tutto nelle sedi istituzionali internazionali e soprattutto europee è mancata ancora una volta (e forse questa è una ulteriore, drammatica certezza di cui prendere atto) quella risposta immediata, corale ed unitaria che, invece, sarebbe stata necessaria sul piano finanziario ed economico per gestire una crisi di queste proporzioni.

Ci troviamo, così, nel pieno di una tempesta globale violenta e potenzialmente letale, affidati alla variabile perizia dei timonieri che ciascuno ha in sorte.

Per il nostro Paese, pesantemente esposto alle tante conseguenze difficili di una crisi che tanti di noi non avrebbero pensato di dovere vivere, i nostri decisori pubblici hanno adottato un approccio ai profili di carattere economico che si è proiettato sulle misure in concreto adottate.

Nell’immediato sono stati rassicurati i tanti più direttamente travolti dagli effetti economici della crisi da Covid-19. Ed è stata una scelta responsabile e pienamente condivisibile, in quanto volta ad evitare di diffondere panico, consolidare la coesione sociale e produttiva, in definitiva rafforzare i presupposti di quella resilienza diffusa subito invocata.

Ma immediatamente dopo, quando si è dovuto mettere sul tavolo le soluzioni concrete, l’effetto è stato ben più amaro.

Con il decreto legge n. 18 del 17.3.2020 approvato dall’esecutivo, infatti, viene dispiegata finalmente la strategia di contrasto in chiave economica delle conseguenze derivanti dalla crisi generata dal Covid-19.

Ma, a fronte della straordinaria novità del fenomeno, la soluzione doveva essere quella di supportare subito ed efficacemente famiglie ed imprese con interventi diretti ed automatici di fronte ad un brusco e pressocchè generalizzato arresto delle attività produttive. E invece, al di là degli importanti e apprezzabili interventi in termini di ampliamento e rifinanziamento della CIG, immediatamente fruibili, è triste dover constatare come si sia preferito concentrarsi su soluzioni “di apparato”. Nel senso che l’impianto predisposto non implica un immediato intervento rivolto direttamente alla fonte principale ed effettiva del problema per milioni di aziende, lavoratori e famiglie, cioè la improvvisa interruzione della disponibilità di risorse; sia in termini di liquidità, con la impossibilità stessa di procurarsene altra, sia quanto alla continuazione della attività produttiva.

Invece si sono privilegiate formule che implicano schermi, intermediari, appesantimenti burocratici che denotano la povertà di idee e soluzioni strategiche, sembrano attingere ad un arsenale trito e spuntato, e rischiano di spostare il “quando” (se non anche il “se”) delle misure ad un momento incompatibile con l’esigenza di immediatezza imposta dalla gravità degli eventi.

Una serie di misure ponderose, in termini burocratici, più che poderose sul piano degli effetti economici che difficilmente potranno risolversi in effettivo rilancio dell’economia reale.

Purtroppo quello che pare incredibile registrare non è una mancanza di volontà di fornire il supporto dovuto alla ripresa delle attività produttive – che non è in discussione, certamente non ha colore politico e non si può ritenere assente in questo frangente nei nostri decisori pubblici – quanto piuttosto un preoccupante deficit strutturale di capacità di gestione di una situazione di queste caratteristiche e dimensioni. Una situazione eccezionale e rispetto alla quale l’ordinaria “cassetta degli attrezzi”, alla quale si è fatto ricorso a piene mani, si rivela una illusione fallace.

Dopo avere amplificato, con la rassicurazione generalizzata, le aspettative di un ceto produttivo traumatizzato dalla violenza dell’impatto e una collettività sapientemente anestetizzata all’arma della critica civile (che vuol dire non pregiudiziale e mai violenta), il bouquet delle risposte esibite in chiave economica rivela una gestione a volte francamente imbarazzante per la prospettiva ingenua che denuncia una pericolosa debolezza strategica.

In questo senso ci sono scelte nel provvedimento approvato dall’esecutivo che si commentano da sole.

Bonus per categorie produttive essenziali per il sistema Paese e che hanno visto immediatamente bloccata ogni forma di attività, ma con un paralizzante rinvio incerto a futuri adempimenti attuativi necessari. Nell’incertezza generata, assume contorni paradossali il paventato ricorso persino ad un “click day”: così da poter addebitare l’inevitabile ondata di sconcerto e delusione che ne deriverà all’impalpabile intervento oscuro del caso, trasformando così l’intervento promesso e doveroso nella drammatica casualità di una incredibile riffa telematica.

E non meno sconcerto desta la nuova programmazione (anche se l’espressione è davvero fuori contesto, data la limitatezza della prospettiva) dei termini per adempimenti che, nell’attuale contingenza, appartengono ad una realtà diversa da quello che i nostri decisori pubblici mostrano di avere.

Si pensi soltanto alla proroga di quattro giorni (sic!) dei versamenti fiscali e contributivi in un Paese desertificato economicamente e socialmente, con il corrispondente ampliamento però di due anni per l’amministrazione finanziaria.

Il tutto mentre, sospesa pressocchè ogni possibilità di circolazione delle risorse economiche e della stessa liquidità per milioni di operatori economici, continuano a gravare come se nulla fosse oneri fissi legati a forniture e utenze per le quali non si configurano non solo sospensioni di pagamento, ma neppure piani di dilazioni adeguati.

Emblematica, nello stesso senso, è la previsione della ripresa della riscossione di pagamenti (solo) sospesi o differiti per i quali non si è tenuto conto della necessità di un periodo adeguato alla gravità del fenomeno: forse è il caso di rimarcare, per chi non lo avesse ancora colto, che si è innescato non un banale rallentamento delle attività produttive, ma una interruzione dell’afflusso di risorse e liquidità verso imprese, professionisti, lavoratori, famiglie che avrà bisogno di ben più di un mese per riconquistare la normalità.

Eppure anche le risposte destinate a garantire la continuità di liquidità per famiglie e imprese passano tutte per successivi adempimenti ministeriali o regolamentari, snodi burocratici, intermediazioni di apparati, pubblici e privati, domande da fare e istruttorie da espletare nessuno sa bene come e quando. Invece che privilegiare soluzioni immediate e dirette, come l’automatico riconoscimento di crediti di imposta da far valere subito, la compensazione integrale dei debiti delle PA nei confronti di imprese, professionisti e cittadini oltre le odiose limitazioni dettate per esigenze di equilibrio di bilancio, ancora una volta, prevale la logica dello sportello (figurato), rispetto a chi è sulla prima linea della attività produttiva quotidiana per la sopravvivenza economica.

Per questo è anche poco corretto esibire cifre mirabolanti come roboante attestato di solidità del pacchetto di misure predisposte, perché si confonde la necessità di sostegno qui e ora, con l’effetto della leva finanziaria che potrà essere attivata. Ma questo rischia di rivelarsi vano perché presuppone il rinvio ad un momento e ad uno scenario incompatibili con la incertezza del presente. Senza volere nemmeno mettere in conto il rischio – che invece chi ha la responsabilità della decisione dovrebbe adeguatamente ponderare – che il sistema creditizio possa non essere in grado di offrire il solido sostegno alla ripresa auspicato.

Una crisi di queste proporzioni inevitabilmente si abbatte sul sistema creditizio e finanziario, che sarà ben presto costretto a fare i conti con una riduzione degli impieghi per conservare coefficienti di solidità scossi dall’inevitabile contrazione e deterioramento delle attività. Sempre che il concorrente indebolimento di fondamentali operatori bancari e finanziari sul mercato dei capitali non costringa a interventi di ricapitalizzazione e sostegno che certamente sottrarrebbero risorse preziose.

Per un adeguato piano di reazione economica la priorità non deve essere la quantità di risorse economiche. Le caratteristiche e le dimensioni del fenomeno eccezionale da fronteggiare già consentono, come dovrebbe essere ben noto, il superamento di vincoli imposti in chiave UE per la stessa architettura del Trattato UE, più che per generoso riconoscimento di partner diffidenti, miopi o egoisti.

Il problema è piuttosto di impostazione: la incapacità di “pensare diverso” che impone la straordinaria novità e traumatica violenza del presente, rischia di consegnarci ad un futuro (prossimo) di difficoltà economiche e produttive diffuse e radicali se non si cambia registro subito.

Con ricadute in termini di diffusività all’intero sistema che rischiano di minare pesantemente la stabilità della stessa coesione sociale che sta assicurando la stabilità di un Paese che meriterebbe, in chi ha la responsabilità della decisione, meno pigrizia mentale, più coraggio, prospettiva di visione non proiettata solo sul sondaggio dell’indomani mattina e non schermata dall’autoassoluzione di un approccio dettato da schemi rivolti alla ripetizione del precedente di turno, ma drammaticamente disconnessi dalla realtà