L’11 Settembre non è finito

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L’11 Settembre non è finito

L’11 Settembre non è finito

11 Settembre 2016

La rabbia e l’orgoglio, scriveva Oriana Fallaci dopo l’11 Settembre. Oggi agli americani è rimasta la rabbia, il sessanta per cento dei cittadini statunitensi prova questo sentimento pensando all’attacco alle Torri Gemelle. Ma al posto dell’orgoglio cresce la paura, il quaranta per cento della popolazione Usa teme che possa esserci un altro attentato stile San Bernardino nel giorno della commemorazione dell’11/9. 

Rabbia e paura che le guerre di Bush figlio, con un costo enorme per gli Usa, oltre cinquemila soldati caduti, cinquantamila feriti, 1,6 miliardi di dollari spesi in Iraq e Afghanistan dal 2001 al 2014, non siano servite a “estirpare il male”, come si prometteva nei circoli neoconservatori. Rabbia e paura per i fallimenti di Obama in politica estera, la “mano tesa” verso i lupi, il discorso del Cairo che si sfracella contro il disastro delle primavere arabe, la mattanza siriana e quella libica. 

Dall’eliminazione di Bin Laden senza riuscire  a catturarlo vivo per regalargli una cura speciale a Guantanamo, al ritiro dall’Iraq dove restano ancora 5mila americani (troppo pochi per completare la missione del suo predecessore), al presidente Obama vanno rimproverate molte cose. Se non sono bastate le guerre di Bush, si chiedono gli esperti, come potrebbe bastare il paradigma dell’incertezza di Obama a sconfiggere il terrorismo islamico? E in cosa cambierebbe la già compromessa dottrina Clinton? L’America è sprofondata in una guerra permanente?

Rabbia e paura sembrano spianare la strada a Donald Trump, ma non è chiaro a quel punto cosa farebbe la Casa Bianca, se gli Usa si arrenderebbero a giocare un ruolo rilevante ma non preminente in un nuovo scenario multilaterale, com’è probabile, o ci sarebbe da temere per la valigetta nucleare, dicono con preoccupazione gli avversari del Don. Obama nel suo discorso di commemorazione dell’11 Settembre ha chiesto agli americani di non votare Trump, di non fidarsi di chi vuole “dividere il Paese” e tradire “gli ideali americani”, ma non si capisce a quali ideali faccia riferimento il premio nobel che si è arreso al caos in Nord Africa e Medio Oriente, forse ritenendolo migliore di una sconfitta militare. 

Rabbia e paura che in questo ordine internazionale emergente, nella “Nuova Vestfalia”, la pace che nel 1648 pose fine alla guerra dei trent’anni, l’islam e suoi “stati-guida”, il regno saudita, l’Iran, la “democrazia” turca, vecchi e nuovi “stati-canaglia”, alla fine non riescano a mettersi d’accordo, e che il disastro umanitario in atto da oltre un decennio tra Siria e Iraq possa ampliarsi, nonostante tutte le rassicurazioni che arrivano sulla sconfitta imminente dello Stato Islamico. Ecco, gli americani sono arrabbiati e impauriti perché sentono che l’11 Settembre non è finito.