La Babele Lazio suggerisce ‘no’ alle preferenze
27 Settembre 2012
Che responsabilità hanno i Cittadini (gli elettori) della babele laziale? Tanta, poca, tutta o nessuna? Se si vuole affrontare seriamente e compiutamente il caso della Regione Lazio, occorre dare una risposta a questa domanda e misurare il carico di colpevolezza, se ce n’è, degli elettori.
Non serve ricordare l’accaduto perché è ancora cronaca quotidiana. Come da copione, esploso lo scandalo, è partita la gara a rincorrersi nell’accusare o scusare solo ed esclusivamente i Partiti, nel perverso gioco che mira a colpire l’avversario per accreditarsi maggiori suffragi. Ancora ieri, ad esempio, il leader del Pd, Pierluigi Bersani, è tornato a lustrare la carrozzeria del suo carrarmato partitico: «Noi», ha detto «di Batman non ne abbiamo!». Un’affermazione, a dire il vero, che sa tanto di excusatio non petita, avendo letto (e ancora leggendo) di cronache di personaggi del Pd molto simili, quando addirittura non peggiori, di quelle del dirigente politico laziale a cui si riferiva Bersani.
Tutto ciò – il perverso gioco, le accuse e le scuse – non serve a lenire il grado di inciviltà in cui è caduta la classe dirigente e, con essa, le istituzioni democratiche. Tutto ciò non serve a rifondare il rispetto e ad alimentare fiducia nei governanti. Piuttosto, alimenta la logica del sospetto e allarga i confini con il proprio vicino e con il prossimo, accrescendo la giustificazione del vivere da sé, per sé e contro tutti. Dunque, può provocare una voragine sociale capace di inghiottire tutto e tutti, anche ciò che di buono del nostro Paese ancora si salva.
Il problema è altrove: nei Cittadini, appunto. Che, come spettatori davanti a una Tv, hanno in mano il telecomando (la scheda elettorale) per decidere, in scienza e coscienza, da chi farsi rappresentare. Oggi, più di ieri, peraltro, sono costantemente informati di quello che il proprio rappresentante sta o non sta facendo e, dunque, giudicare l’operato obiettivamente. Il dirigente laziale ha ottenuto circa 30 mila preferenze: per quali e con quali meriti (amministrativi) sono state conquistate tutte quelle preferenze? Evidentemente lo sanno i 30 mila cittadini (circa) che, penna alla mano, hanno scritto il nome del candidato sulle schede. Oggi si tende a ritenere che l’opinione pubblica, la “maggioranza dei voti” (e quei 30 mila voti sono una maggioranza qualificata) sia assimilabile a un giudizio di “verità”, come tale inconfutabile e incontestabile. Ciò è vero nel vivere quotidiano, ma non lo è mai in materia di etica e morale (anche Politica) che risponde, piuttosto, a principi e doveri non negoziabili neppure da un voto unanime. E’ questo spessore – etico, morale – che oggi manca nella vita politico-amministrativa, soprattutto ai livelli più vicini al territorio (comuni, province e regioni).
Nelle esperienze personali – che credo tuttavia interessino molti degli 8 mila comuni sparsi in tutta Italia specie quelli di piccole dimensioni che sono poi la maggioranza – ho avuto modo di testare un semplice teorema: nelle competizioni elettorali ha tanta maggiore probabilità di perdere lo schieramento più “capace” (amministrativamente), quanto più stretto è il legame tra Elettori e Candidati. Il teorema dimostra che, quando si vota, i Cittadini chissà per quale ragione scelgono lo schieramento senza valutare merito e capacità amministrative (non sono caratteristiche ricercate nei rappresentanti). Le “cene elettorali” sono una consuetudine: come atto profetico si celebrano prima e non dopo le elezioni a preannunciare la vittoria. Promesse, regali e gadget elettorali rappresentano la regola e sono il metro per misurare la statura di un “Politico”. Questa è la vita amministrativa che si vive nei piccoli territori comunali. Dove di politica non c’è alcunché e dove l’anti-politica non è mai esistita. Dire “sei un politico”, anzi, è un complimento: vuol dire essere una persona in gamba e capace (anche se in un senso moralmente dispregiativo, cioè di persona scaltra e furba, incline al compromesso e a chiudere più di un occhio, all’occorrenza, per il piccolo favore personale).
Ignorare ciò che accade sui territori è stato il grave errore (e ancora si persevera) che ci ha condotti alla situazione in cui ci troviamo. Le personalità (politiche) emerse non sono sempre state le “migliori” che la società poteva offrire. Dai territori, poi, sono stati espressi i dirigenti politici provinciali e poi quelli regionali dei quali, ciecamente, i rappresentanti politici e partitici nazionali devono fidarsi ciecamente nella logica catena che lega il centro alle periferie, la politica nazionale a quella locale. E, ciecamente, è facile finire in un caos, come è successo con la Regione Lazio.
Come si è arrivati a queste degenerazioni? Ipotizzo una risposta. La responsabilità è dei Partiti. La loro colpa è aver abdicato al ruolo fondamentale di scuola di Politica, di ideologia e di appartenenza a un gruppo (meglio “collettività”), delegando questi compiti a singoli Eletti in virtù dell’assurdo principio di rappresentanza personale degli elettori sul territorio. Oggi si sta con “Berlusconi” o con “Bersani”, non con il Pdl o con il Pd. Chi è contro “Berlusconi” (Pdl) e contro “Bersani” (Pd) sta con “Grillo” (M5s). Questo è il mostro di (in)civiltà che ha prodotto quel perverso gioco di colpire e discreditare l’avversario (e non le sue idee o i suoi programmi): si sta con Bersani soltanto per stare contro Berlusconi, e poco importa se poi Bersani avalla il matrimonio tra persone dello stesso sesso oppure difende l’articolo 18 e con esso la disoccupazione giovanile. Si sta con Grillo soltanto per stare contro i politici tradizionali e poco importa se poi il programma M5s non scrive una riga sulle riforme del mercato del lavoro e su come intende contrastare la dilagante disoccupazione giovanile.
Per venirne fuori da questa babele – la regione Lazio è lo specchio di ciò che accade in tante piccole comunità politico-amministrative (consorzi, comunità montane, enti vari per non dire comuni e province) – occorre una seria assunzione di responsabilità da parte dei Partiti nel principio che un cattivo amministratore, è di destra o di sinistra, è un cattivo amministratore. E come tale allontanato e messo in condizione di non nuocere più alla collettività. Pulizia dunque: occorre un rinnovamento, vero e concreto, a cominciare dalle strutture e dalle ramificazioni territoriali. I Partiti devono essere centri etici, morali, culturali. Devono diffondere e difendere le proprie idee e i propri programmi, con una presenza quasi assillante sui territori. Soprattutto devono assumersi la responsabilità di porsi a guida della comunità politico-sociale, decidendo le candidature e bocciando, quindi, una legge di riforma elettorale basata sul ritorno alle preferenze. Chissà che così facendo – è l’augurio – non si finisca per trasformare quest’Italia del magna-magna, dai Cittadini ai Politici, in una vera comunità orientata alla promozione integrale della persona e del bene comune.