La battaglia per Eluana è persa, ora però bisogna vincere la guerra

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La battaglia per Eluana è persa, ora però bisogna vincere la guerra

19 Dicembre 2008

Non si può assistere alla storia di Eluana come si assiste a una partita di calcio. Con le sciarpe e gli striscioni a tifare la squadra dagli spalti. Lo dice Beppino Englaro all’indomani dell’ennesimo impedimento che si frappone tra lui e la morte di sua figlia. Chi potrebbe dargli torto? Chi potrebbe mai pensare alla vita di Eluana come al derby Roma-Lazio?

Ma il paragone con il tifo fatto da Englaro ha qualcosa di vero se riportato alla vicenda della figlia, e riguarda molto da vicino non il tifo in sé e per sé ma un suo aspetto ben preciso. Un aspetto che si estrinseca al meglio in una parola: accanimento. L’accanimento è  forse il termine più ricorrente di tutta questa storia: la scienza si è accanita sul corpo straziato di Eluana, tenendola in vita; i magistrati si sono accaniti coi tempi, i modi e i gradi di cui dispongono nell’ergersi a giudici estremi che decidono della morte oltre che della vita; ora si accanisce la politica, con la decisione del ministro Sacconi di impedire con tutte le armi di cui è in possesso che la morte di Eluana sia eseguita col beneplacito dello Stato, vietando alle strutture ospedaliere di mettere in pratica la sospensione di alimentazione e idratazione della giovane donna in stato vegetativo.

E così facendo quella per Eluana è diventata una guerra tra poteri. Una guerra tra chi è più forte tra la scienza, la giustizia e la politica. L’una contro l’altra armate nel nome di altisonanti (quanto sacrosanti) principi: la libertà, lo stato di diritto, l’attribuzione dei poteri, l’autodeterminazione. Forse dimenticando che c’è una donna che sta per essere trasferita da un posto che è stato casa sua per sedici anni, dove c’erano persone che l’hanno accudita, lavata, cambiata, amata in un posto in cui la sua morte è scandita con un ritmo che fa venire i brividi.

Forse è arrivato il momento di rassegnarsi. Di accettare che la battaglia per Eluana l’abbiamo persa noi che volevamo salvarle la vita e l’hanno vinta tutti coloro che ritengono che quella della giovane donna di Lecco non è più vita da tempo e quindi non c’è nulla in quell’esistenza che meriti di essere salvato. Questo non vuol dire arrendersi, vuol dire solo lasciare alla dimensione privata – l’unica dimensione che le è propria, e da cui per troppi motivi è stata sottratta – la fine della vita di Eluana. Ci sembra  legittimo e ci sembra l’ultima forma di quel rispetto della persona per cui tanto ci siamo battuti e ci battiamo.

La politica accetti di aver perduto una battaglia ma faccia di tutto per vincere la guerra, facendo una legge sul fine vita in tempi brevi e col maggior consenso possibile.

Da parte nostra, cominciamo pensare che qualche ragione l’avessero coloro che su tutta questa storia ad un certo punto hanno richiesto il silenzio. Perché anche noi siamo rimasti senza nulla da dire.