La Bellezza del Somaro: ritratto di due generazioni alla ricerca di se stesse

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La Bellezza del Somaro: ritratto di due generazioni alla ricerca di se stesse

09 Gennaio 2011

Il film, La bellezza del somaro, scritto dalla Mazzantini e diretto da Castellitto, ritrae i cinquantenni odierni e i loro figli. Un film divertente, amaro, dissacrante, melanconico. Da vedere anche con i propri figli. Uno specchio della nostra vita. Un ritratto duro che non perdona nulla.

Si vedono questi” ragazzi” di cinquant’anni che vivono un’adolescenza infinita, terrorizzati dalla vecchiaia che non divengono mai adulti. Anzi paventano la vecchiaia e cercano di allontanarla con comportamenti che ricordano la loro adolescenza. Non riescono ad essere adulti credibili per i loro figli. Sono sempre di corsa, imprendibili. Scorrono veloci le loro vite dentro giorni distratti. Tutto ruota intorno alle loro vite frenetiche dove ogni cosa e persona è solo annusata e lasciata. Tutti presi dalle loro tematiche non risolte a fare conti che non tornano su ciò che volevano essere e non sono stati. Su un tempo che non li ha avvisati della velocità e li ha fatti ritrovare ancora lì con la voglia di fare tutto quello che si faceva a vent’anni.

Impauriti dai figli che li guardano esterrefatti e che li obbligano a condividere i loro più stupidi comportamenti che loro accettano timorosi. Sì, è paradossale, i genitori rappresentati nel film ognuno a modo suo ha paura dei figli. Hanno paura del giudizio dei loro figli. Fanno finta di non vedere cosa i figli fanno. Appoggiano convinti i  loro comportamenti più assurdi. Sono succubi e innamorati dei loro ragazzi adolescenti. Ma forse sono molto innamorati della loro età che li riporta indietro nel tempo e vorrebbero avere l’amicizia e la complicità con i figli come se fossero degli amici o come se fossero ancora piccoli ed avere le loro confidenze. Ma tutto questo è finito e dovrebbe esserci posto per altro. Nuove complicità che non significhino per forza amicizia o accettazione totale.

E’ un film che fa ridere ma è anche molto amaro, a tratti triste, feroce. C’è una tensione continua, un’assenza di serenità che caratterizza questi cinquantenni che alla fine fanno quasi tenerezza per come sono spaesati in questa vita da grandi. Ma fanno anche rabbia per la mancanza di forza. Non c’è in loro nessuna volontà e capacità di guardare i propri figli con sguardo adulto, con desiderio di essere una guida per loro. Aspettano le mosse dei figli e si adeguano.

Non vedono, fanno finta, si nascondono e quando finalmente Castellitto prende una posizione, una decisione, e lo fa malamente con lo schiaffo è la prima volta che fa il genitore. Lo schiaffo come metafora. Ho un’idea, decido io, ti do un’indicazione ci provo a fare il grande e a rischiare. Non mando avanti te che sei piccolo a rischiare. Lo schiaffo diviene un simbolo nel film. Sarà poi Castellitto a prenderlo a sua volta. Lui che un padre non lo ha mai avuto. E che forse ha anelato in tutta la vita quella guida e quell’attenzione che a volte anche uno schiaffo circostanziato può far sentire.

Il film rappresenta bene la crisi educativa "questa generazione non ha più maestri solo qualche esperto di settore". Evidenzia la difficoltà che c’è tra padri e figli. I ragazzi chiedono risposte che gli adulti stanno ancora cercando. Gli adulti non hanno capacità, voglia, desiderio di essere altro dai figli. Vogliono un po’ fare ancora le stesse cose che fanno i loro ragazzi e lo struggimento della loro crescita non li spinge a crescere a loro volta, ma li fa essere personaggi patetici come dice la ragazza al padre nel film. Patetici soprattutto perché non hanno costruito un futuro per la generazione successiva. Hanno fallito nel loro non aver fatto abbastanza. Persi nei loro sogni ed agi non hanno passato nulla ai loro figli, né mezzi né ideali.

La grande paura della vecchiaia che viene allontanata e respinta porta i nostri cinquantenni a non godersi il momento, poiché spiano sul loro corpo e nel viso degli altri come l’età li ha segnati. A che punto sono sulla strada. Non accettano di essere già a metà di quella strada. Neanche per i loro figli che crescono così da soli intellettualmente ed emotivamente. Sono alla ricerca continua  di genitori che li sappiano ispirare, incoraggiare e motivare a percorrere il sentiero della vita.

Gli adulti del film, ma anche spesso quelli della realtà rimangono sempre ad osservare se stessi. Individui egocentrici e egoisti che si annoiano e si disperano a guardare il proprio decadimento fisico, accelerando così anche quello mentale rimanendo fissi solo su alcuni temi banali e ossessivi. Ma l’ossessione si può scacciare con la volontà, con la visione, con la passione, ma i nostri cinquantenni non perseguono queste strade, né sanno indicarle ai propri figli.