La Betancourt ringrazia Uribe e diventa antipatica alla sinistra
05 Luglio 2008
Ci si può girare intorno quanto si vuole, ma la sostanza delle reazioni della sinistra italiana ed europea alla liberazione di Ingrid Betancourt non è molto coerente con la richiesta così strombazzata, ad esempio dall’ "Unità" in prima pagina da alcuni giorni, di assegnarle una sorta di premio Nobel per la pace honoris causa.
Le sue parole di gratitudine senza sé e senza ma verso il presidente colombiano Alvaro Uribe e verso il suo nume tutelare americano George W. Bush hanno rovinato il gusto di una liberazione che doveva essere cavalcata in stile pacifista e barricadero.
Giovedì, a liberazione ancora molto calda, "L’Unità" mobilitava uno specialista del settore "complotti Cia e dintorni" come Maurizio Chierici per manifestare la propria "delusione" all’epilogo del sequestro Betancourt. Che viene dipinta quasi come una sorta di vittima della sindrome di Stoccolma, non nei confronti dei carcerieri, ma dello stesso Uribe che, per teorema, "avrebbe sempre saputo dove Ingrid si trovava grazie ai satelliti americani" e che quindi avrebbe in pratica pianificato quando farla liberare.
Ieri poi la situazione politically correct è decisamente precipitata: la Betancourt ha cominciato a rilasciare dichiarazioni a raffica in cui le Farc vengono definite "una guerriglia mafiosa" che usa "metodi medievali" e i cui esponenti "hanno fatto del terrorismo una sorta di redditizia attività da combinare con quella del traffico di cocaina". Mentre si sono sprecate le parole a favore della linea di Uribe sostanziatesi in questa semplice frase: "La pressione militare sulle Farc non deve diminuire".
Di conseguenza, sono andati indirettamente all’attacco della Betancourt e di Uribe sia "Liberation" sia l’"International Herald Tribune". Il primo speculando sul fatto che Sarkozy fosse stato scavalcato e sul pagamento di una somma per corrompere i due carcerieri poi arrestati nel blitz. Il secondo per inventarsi una pretesa irritazione dello stesso Sarkozy per essere stato avvertito solo 15 minuti prima dei giornali dell’avvenuta missione compiuta.
Sempre ieri su "L’Unità" si è tornato a parlare in un articolo di cronaca a pagina 10 di possibili risvolti economici a favore di alcuni membri delle Farc per la liberazione. E di "risvolti poco chiari dell’intera operazione".
Come se fosse un crimine avere usato i soldi dei servizi segreti per salvare un ostaggio. Solo con la Sgrena e le due Simone questo sarebbe dovuto essere possibile? Ci deve essere una garanzia per cui gli ostaggi si impegnano a parlare bene dei rapitori e male di chi li ha salvati prima che avvenga il rilascio?
Ma chi l’ha sparata veramente più grossa di tutti è stato un’altra volta il nominato Chierici, che contende a Gianni Minà la palma del filo-terzomondismo nell’America latina. Chierici infatti sostiene che il blitz nella giungla che lo scorso primo marzo portò all’uccisione di diciassette terroristi delle Farc (tra cui uno dei capi delle Farc, Raul Reyes, e alla cattura dei computer portatili da cui sono sicuramente scaturite notizie utili al colpo grosso dell’altro giorno) avrebbe in realtà ritardato e rischiato di compromettere la liberazione della Betancourt. Circostanza intuitivamente non vera anche per un bambino di sei anni.
La Betancourt comincia dunque a diventare antipatica a quegli stessi che ne propongono il Nobel per la pace. Se questa signora dice che le Farc sono criminali e trafficanti di droga, se ringrazia il "falco Uribe" e il "falco Bush" per il blitz nella giungla, questo significa che non porta acqua al mulino della sinistra, sempre simpatizzante per i movimenti di liberazione anche nei paesi in cui c’è ben poco da liberare, come la Colombia, e in cui la guerra civile in atto verte tutta sul business della cocaina.
Dovesse continuare così l’andazzo, passerà ben poco tempo prima che qualcuno accuserà la Betancourt di avere partecipato a una sceneggiata durata sei anni con il solo scopo di nuocere alla causa rivoluzionaria delle Farc.